La pericolosità nelle “challenge” sui social

Ricordate quando alcuni anni fa sui social media si diffuse il fenomeno noto come Mannequin Challenge per cui nascevano virali decine di video in cui persone alle prese con la vita quotidiana ad un certo punto si immobilizzassero come manichini, come se fossero state congelate in un tempo sospeso. Questa è stata una delle più famose sfide del web che si è diffusa rapidamente diventando virale qualche anno fa. Le sfide sono proprio queste “prove condivise”, lanciate sui social media, con l’intento di diffondersi e diventare globali: le azioni relative a queste sfide vengono registrate o fotografate, si taggano amici e conoscenti, e tutto viene pubblicato sui vari canali social nella speranza di coinvolgere altri e fare like diffondendosi velocementea livello mondiale.

Secondo molti la prima di queste sfide si diffuse nella lontana estate del 2014 quando imperversò su YouTube la “Ice bucket challenge” che nacque a New York per il raggiungimento di uno scopo benefico. Alcune volte, le sfide hanno duqneu uno scopo sociale, mentre nella maggior parte dei casi sono solo divertenti, e talvolta, anzi spesso possono addirittura essere pericolose tanto da essere letali per gli stessi creator. Ma a cosa servono? Cosa spinge le persone a lanciare queste sfide?

Spesso, si tratta semplicemente di trovare nuovi follower e aumentare l’autostima basata sul riconoscimento sociale: un aspetto estremamente delicato, soprattutto per gli adolescenti. Altre volte, le sfide possono essere un modo per mettersi alla prova e testare i propri limiti. Altre ancora sono solo un modo per divertirsi e sperimentare qualcosa di nuovo. Tuttavia, non possiamo ignorare il potenziale rischio delle challenge sui social media.

Alcune sfide superano i limiti di legalità e sicurezza, con prove allarmanti che diventano virali grazie a specifici hashtag. Ad esempio, c’è la tristemente nota sfida della Blue Whale, un tragico gioco di cui si è tanto discusso in passato anche grazie a un servizio delle Iene. Questa sfida dura 50 giorni e prevede una serie di prove autolesionistiche sempre più gravi, che culminano nel suicidio. È davvero spaventoso. C’è anche la sfida del Milk Challenge, che consiste nell’ingerire tre litri di latte senza interruzione e senza vomitare. Poi c’è la sfida del carsurfing, che richiede di salire sul tetto di un’auto in movimento e mantenere l’equilibrio. E non dimentichiamo l’Eraser Challenge, in cui bisogna sfregare il braccio con una gomma fino a farlo sanguinare. Infine, c’è la sfida delle Tide Pods, una delle sfide più famose del 2018, che consiste nell’ingerire una capsula di detersivo per lavatrici…

Queste sfide estreme vengono create per suscitare scalpore e attrarre attenzione, e spesso i giovani finiscono per parteciparvi per evitare di sentirsi esclusi, per non sembrare paurosi o per cercare un po’ di adrenalina in giornate noiose e prive di stimoli positivi. È un insieme di dinamiche complesse e delicate, su cui però il mondo dei social media, sempre più parte integrante delle nostre vite, ci spinge a riflettere.

Per proteggere i più piccoli dai possibili rischi delle sfide social, Save the Children ha pubblicato un vademecum per condividere con gli  adulti alcune regole per una fruizione consapevole delle piattaforme da parte di bambini e adolescenti senza dimenticare che è possibile iscriversi ai social network solo dai 13 anni in su, con il consenso dei genitori, oppure dai 14 anni, da soli.

Ecco alcuni consigli utili di Save the Children:

  • Occorre non dare per scontato il grado di autonomia che possono avere nell’uso delle tecnologie digitali e non avere paura di stabilire regole anche sulla condivisione delle attività e sui tempi di utilizzo.

  • La gestione della propria identità online va supportata, soprattutto agli inizi della loro vita social, sempre cercando di non risultare invadenti.

  • Parlare, interessarsi e prevenire sono le parole chiave, dunque, per evitare di trovarsi coinvolti in situazioni rischiose. Sebbene la pratica di verificare i contenuti a cui nostro figlio/figlia ha accesso possa essere un comportamento consigliabile nel caso dei più piccoli, facendone sempre oggetto di dialogo e come pretesto per spunti educativi, ciò potrebbe anche essere inutile e controproducente con gli adolescenti più grandi. Inutile per il moltiplicarsi di spazi, canali e “luoghi” virtuali a cui è possibile accedere con particolari abilità informatiche; controproducente perché allontana, lede la privacy a cui hanno diritto e soprattutto interferisce con una dinamica educativa basata sulla responsabilizzazione, la progressiva autonomia e la fiducia.

  • Gli adolescenti vanno supportati nel riconoscimento e nella gestione delle proprie emozioni, nello sviluppo di autonomia, responsabilità e senso etico. Devono imparare ad esercitare il proprio pensiero critico anche quando sono online, quando cioè provare empatia per l’altro è più difficile, perché scatta un meccanismo di de-responsabilizzazione e di distacco. Devono sapere che se si ritrovano in una situazione più grande di loro, possono chiedere aiuto e possono chiederlo e riceverlo anche se si sono messi nei guai.

Atri consigli utili sulle sfide online sia per i genitori, sia per ragazzi e ragazze.

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