Il manga di Captain Harlock di Leiji Matsumoto fu pubblicato per la prima volta in Giappone nel 1977. Non ho informazioni precise sul numero di volumi pubblicati in patria, ma so che venne edito dalla “Akita Shoten Publishing” (non so se come serie o come volume singolo). La trama del manga è identica a quella dell’anime. La serie televisiva, oltre alla trama, eredita dal linguaggio fumettistico di Leiji Matsumoto anche l’uso frequente di fermo immagine e linee cinetiche. In Italia, la serie viene pubblicata in modo incompleto dalla Granata Press. Prima del loro fallimento, pubblicarono solo metà dell’opera in 15 volumi ormai introvabili. A differenza di altri mangaka dell’epoca, Matsumoto è sia un grande autore che un grande disegnatore. Il suo stile ha chiari accenti europei, è ricco di dettagli ed espressivo. Il tratto caricaturale è praticamente assente. La cura per il design delle astronavi è quasi ossessiva, con schemi simili a quelli usati nei lavori di CAD. Le tavole bicromatiche rendono ancora più affascinante l’aspetto oscuro di Harlock. Il volto del “pirata spaziale” è ritratto con dei lineamenti più duri e adulti rispetto alla serie televisiva, mentre i personaggi femminili sono caratterizzati con un tratto gentile e una sensibilità superiore. Matsumoto utilizza il chiaroscuro per caratterizzare i suoi personaggi; essendo necessario utilizzare sfondi neri per rappresentare lo spazio, l’autore capisce che mantenendo lo stesso stile anche all’interno delle sequenze, aumenta il tono malinconico della narrazione.
Purtroppo, le case editrici italiane si sono orientate verso pubblicazioni più mature e culturalmente elevate, come “Yu-Gi-Oh” o “Dead Man”. È triste che in un paese come il nostro, che si nutre avidamente di anime e manga, non si possa avere la fortuna di vedere manga come quelli di Go Nagai o Reiji Matsumoto, o il meraviglioso “Ashita no Joo” di Chiba/Asamori. Le case editrici si sono dimenticate, fin dai tempi della Granata, che i loro prodotti non sono destinati solo agli adolescenti e ai bambini, ma che ci sono anche veri otaku come noi che desiderano leggere queste opere. Capisco che lo stile di alcuni di questi manga può sembrare datato, ma ci sarebbero delle soluzioni (basterebbe pubblicarli in edizioni da libreria) e ci sarebbero certamente acquirenti interessati. Il vero problema è che, dopo la scomparsa di queste serie televisive dalle reti italiane (soprattutto quelle nazionali), manca il traino pubblicitario che potrebbe spingere anche i lettori meno esperti a comprare i manga. Dei manga di Reiji Matsumoto, solo “Capitan Harlock” ha beneficiato di un’edizione italiana (sebbene parziale), a meno che non si vogliano includere le riduzioni a fumetti di “Galaxy Express 999” (spesso un tipo di anime comics) che apparvero circa vent’anni fa su “Corriere dei Ragazzi” o “Banda Tv ragazzi”.