Era il 15 febbraio 1985 quando Breakfast Club fece il suo debutto nei cinema americani, e da quel momento il mondo della cultura pop non fu più lo stesso. In Italia arrivò qualche mese dopo, il 27 settembre 1985, ma l’impatto fu altrettanto dirompente. Diretto e scritto da John Hughes, questo piccolo capolavoro non è solo un film, ma un viaggio emotivo attraverso le paure, i sogni e le insicurezze di un gruppo di adolescenti intrappolati tra chi vorrebbero essere e chi gli altri pensano che siano.
La trama è apparentemente semplice: cinque studenti di una scuola superiore di Chicago si ritrovano a trascorrere un sabato mattina in punizione, confinati nella biblioteca sotto la sorveglianza intermittente del preside Vernon. Un criminale, un atleta, una principessa, un cervellone e un’emarginata. Stereotipi viventi, incasellati in ruoli precisi dalla società scolastica e familiare, che però iniziano a sgretolarsi man mano che la giornata avanza.
All’inizio, sono distanti, diffidenti e pronti a punzecchiarsi. Ma l’obbligo di restare insieme per ore li spinge a parlare, a confrontarsi, a mettere a nudo le proprie fragilità. Tra battute, litigi e persino qualche momento di follia collettiva (come il ballo che è ormai un pezzo di storia del cinema), scoprono che dietro le apparenze condividono molto più di quanto immaginassero.
Hughes ha avuto un’intuizione geniale: raccontare la complessità dell’adolescenza con onestà e senza paternalismi. I problemi dei ragazzi sono reali e profondi. Andy, l’atleta, vive sotto la pressione di un padre che lo critica senza tregua. John, il ribelle, è vittima di un padre violento. Brian, il cervellone, è schiacciato dalle aspettative di eccellenza scolastica della famiglia. Claire, la principessa, è intrappolata tra genitori che la usano come pedina nei loro conflitti. Allison, l’emarginata, è ignorata dalla sua stessa famiglia.
Il tema assegnato dal preside – “Chi sono io?” – diventa il pretesto per far emergere il cuore del film. La risposta, che scriveranno collettivamente alla fine della giornata, è un manifesto generazionale: «Ognuno di noi è un genio, un atleta, un pazzo, una principessa e un criminale». È una dichiarazione che scardina le etichette, rifiuta le definizioni semplicistiche e abbraccia la complessità di essere giovani, fragili e vivi.
Quello che rende Breakfast Club così unico, anche dopo quarant’anni, è la sua sincerità. Hughes non giudica i suoi personaggi, ma li osserva con empatia e comprensione. Non c’è moralismo, né la pretesa di dare risposte facili. Il film è un ritratto onesto di quella fase della vita in cui ci si sente invisibili, incompresi e spaventati dall’idea di diventare adulti. Gli adulti del film, infatti, rappresentano il timore peggiore dei protagonisti: perdere la vitalità, l’empatia e la capacità di sognare.
Un elemento fondamentale che ha reso il film così memorabile è la chimica tra i membri del cast e il regista. Judd Nelson, Emilio Estevez, Molly Ringwald, Anthony Michael Hall e Ally Sheedy non interpretano solo dei ruoli: vivono quei personaggi, e questa sintonia si riflette in ogni scena, dalle improvvisazioni alle confessioni più intime.
Non sorprende che nel 2016 Breakfast Club sia stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, un onore riservato solo ai film che hanno un impatto culturale duraturo. Ma forse il più grande riconoscimento è il fatto che, ancora oggi, continua a parlare alle nuove generazioni.
Chi di noi non si è mai sentito un po’ come Brian, o John, o Claire? Chi non ha mai avuto paura di non essere abbastanza, o di essere definito solo da un’etichetta? In fondo, Breakfast Club ci ricorda che dentro ognuno di noi convivono un genio, un atleta, un pazzo, una principessa e un criminale. E che va bene così.
Quarant’anni dopo, la biblioteca di quella scuola immaginaria di Chicago è ancora lì, a ricordarci che, anche se siamo tutti diversi, siamo molto più simili di quanto pensiamo. Breakfast Club non è solo un film: è una lezione di umanità, racchiusa in una giornata che nessuno di noi dimenticherà mai.
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