La morte, da sempre considerata l’ultimo e ineluttabile confine dell’esistenza umana, sembra essere messa in discussione da una scoperta scientifica che ha dell’incredibile. Un team di ricercatori dell’Università di Yale, sotto la guida del neuroscienziato Zvonimir Vrselja, sta lavorando su una tecnologia in grado di spingere i confini tra vita e morte molto più in là. Grazie a un innovativo sistema chiamato BrainEx, i ricercatori sono riusciti a “riattivare” il cervello umano anche ore dopo la morte, almeno in termini di attività metabolica e neuronale. A prima vista, una simile impresa potrebbe sembrare qualcosa uscito da un film di fantascienza, ma in realtà potrebbe segnare l’inizio di una rivoluzione scientifica che potrebbe cambiare per sempre la medicina, la filosofia e la nostra concezione della morte.
Tutto è cominciato nel 2019, quando i ricercatori di Yale sono riusciti a ripristinare una certa attività cerebrale nei cervelli di maiali espiantati, anche fino a quattro ore dopo il decesso. Il cuore di questo progetto è proprio BrainEx, un dispositivo che simula il flusso sanguigno nel cervello, rifornendolo di ossigeno e nutrienti vitali. A differenza delle tecniche di conservazione tradizionali utilizzate per i trapianti, che si limitano a preservare gli organi, BrainEx tenta di contrastare i danni causati dall’assenza di ossigeno nei tessuti cerebrali, un fenomeno che porta alla morte cellulare. Fino a ora, il cervello umano cessava la sua attività quasi immediatamente dopo pochi minuti senza ossigeno. Grazie al BrainEx, però, è stato possibile ripristinare l’attività metabolica e in alcuni casi anche il funzionamento delle sinapsi. Un risultato che ha lasciato la comunità scientifica sbalordita.
Se gli esperimenti sui maiali miravano a testare la fattibilità della tecnologia, con i cervelli umani il progetto ha raggiunto un livello decisamente più complesso, sia dal punto di vista tecnico che etico. L’obiettivo non è quello di “resuscitare” i morti, ma di aprire nuove porte nella ricerca medica. In particolare, uno degli ambiti in cui il BrainEx potrebbe rivelarsi fondamentale è lo studio delle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Ma se il progresso scientifico è notevole, gli esperimenti sui cervelli umani sollevano inevitabili interrogativi etici. Il principale timore è che, una volta parzialmente riattivato, il cervello possa acquisire forme di coscienza. Sebbene i ricercatori abbiano implementato sedativi e sostanze inibitorie per evitare questo scenario, la questione resta delicata. Tuttavia, i test stanno dimostrando che il cervello umano può riprendere a funzionare fino a 24 ore dopo il decesso, ma senza che vi sia un vero e proprio ritorno della coscienza.
I risultati sono straordinari: la possibilità di “rivivere” il cervello post-mortem apre a nuove frontiere per la ricerca medica. In particolare, la possibilità di testare farmaci su cervelli umani “quasi vivi” potrebbe portare a scoperte rivoluzionarie, soprattutto nel trattamento delle malattie neurodegenerative. Se i tessuti cerebrali, che normalmente si deteriorano rapidamente, possono essere mantenuti attivi per un’intera giornata, gli scienziati avranno il tempo necessario per testare nuovi farmaci con un realismo mai visto prima. Si tratta di un passo avanti enorme per la medicina, che potrebbe accelerare lo sviluppo di trattamenti efficaci per malattie come l’Alzheimer e il Parkinson.
Ovviamente, una tecnologia così potente solleva domande ben più profonde, che vanno oltre la scienza. Se il cervello può essere riattivato ore dopo la morte, che cosa significa davvero “morte”? Fino ad ora, la morte cerebrale è stata il criterio principale per dichiarare il decesso, ma se il cervello può riprendere a funzionare, la nostra definizione di morte si fa improvvisamente più fluida. Lance Becker, esperto di medicina d’urgenza, ha suggerito che il campo della rianimazione potrebbe evolversi in un modo che renderebbe meno definitivi i casi di morte cerebrale. Questo implica non solo una serie di considerazioni scientifiche, ma anche legali, morali e religiose: quando una persona è veramente morta? Chi ha il diritto di decidere se una persona è viva o morta?
Nonostante le implicazioni filosofiche, l’obiettivo principale del team di Yale è quello di combattere le malattie neurodegenerative. Attualmente, i ricercatori utilizzano i cervelli umani post-mortem per analizzare malattie come l’Alzheimer e il Parkinson, ma i tessuti cerebrali si deteriorano rapidamente. Grazie a BrainEx, questi tessuti possono rimanere “quasi vivi” per ore, consentendo di eseguire esperimenti con una precisione e una fedeltà mai viste prima. Questo potrebbe davvero cambiare il panorama della medicina, aprendo la strada a cure più veloci e più efficaci.
Ma le potenzialità di BrainEx non si limitano solo al campo delle neuroscienze. Tecnologie simili, come OrganEx, sono già in uso per migliorare la qualità e la durata degli organi destinati al trapianto. In futuro, potrebbe essere possibile usare questi dispositivi per “ripristinare” la funzionalità di organi vitali in pazienti con arresto cardiaco. Un giorno, quindi, non solo il cervello, ma anche altri organi potrebbero beneficiare di questa nuova tecnologia.
Seppure lontani dal poter “riattivare” la coscienza, gli sviluppi legati al recupero dell’attività cerebrale stanno ponendo domande che sembrano appartenere a un racconto distopico, alla trama di una serie come Black Mirror. La possibilità di riportare in vita la coscienza, di “resuscitare” qualcuno nel vero senso della parola, è ancora un sogno lontano, ma la ricerca sul recupero dell’attività cerebrale sta aprendo nuove strade, che potrebbero portare a cambiamenti significativi sia nel campo medico che filosofico.
Il futuro potrebbe riservarci sorprese straordinarie. Se la tecnologia continuerà a evolversi, i confini tra vita e morte potrebbero diventare sempre più labili. E potremmo trovarci un giorno a chiederci: “Credevano davvero che la morte fosse definitiva?”.