Away è una serie che tenta di fondere la vastità dello spazio con la complessità dei legami familiari, ma purtroppo non riesce a trovare un equilibrio convincente tra i due mondi. Ideata da Andrew Hinderaker e con Hilary Swank nel ruolo di protagonista, la serie è stata presentata come un dramma sci-fi che avrebbe esplorato le difficoltà emotive e tecniche di una missione spaziale verso Marte, ma finisce per fallire in alcuni degli aspetti più importanti.
La trama di Away ruota attorno a Emma Green (Swank), un’astronauta incaricata di comandare una missione verso Marte che la terrà lontana dalla sua famiglia per tre anni. Il concetto di partenza è affascinante: esplorare il conflitto interiore di una madre e moglie che deve bilanciare il dovere verso la missione spaziale e l’amore per la sua famiglia. Tuttavia, le scelte narrative sembrano spingere troppo sulla parte emotiva, sacrificando la credibilità scientifica, che sarebbe stata fondamentale in un contesto del genere. La rappresentazione di un’astronauta miopica o le soluzioni a problemi tecnici risolti in modo quasi troppo facile appaiono come incongruenze che indeboliscono l’impatto della serie.
Dal punto di vista visivo, Away fa sicuramente la sua figura. L’ambientazione spaziale è ben realizzata, con una fotografia che riesce a catturare il senso di isolamento e vastità dello spazio. Gli interni della navetta spaziale sono realistici e le scene di gravità zero sono gestite in modo convincente. Tuttavia, queste qualità visive non bastano a sostenere una narrazione che manca di quella robustezza scientifica che ci si aspetterebbe in un prodotto del genere. Il pubblico che cerca un racconto basato sulla scienza potrebbe trovare la serie deludente, dato che i problemi tecnici vengono trattati superficialmente.
Il cast, pur essendo composto da attori di talento come Hilary Swank e Josh Charles, non riesce a colmare le lacune della trama. Swank, pur essendo una grande interprete, non riesce a dare profondità a un personaggio che richiederebbe una sfumatura maggiore, rendendo Emma Green meno coinvolgente di quanto sarebbe dovuto essere. La tensione emotiva che la serie cerca di creare, specialmente nei momenti di separazione familiare, rischia spesso di sfociare nel melodramma, senza mai riuscire a colpire il cuore dello spettatore con la giusta dose di autenticità.
La forza emotiva, purtroppo, si scontra con il ritmo poco convincente della serie. Away alterna momenti di grande dramma e riflessioni intime a sequenze che sembrano più adatte a un film di fantascienza convenzionale. La serie non riesce a decidersi su quale direzione prendere, oscillando continuamente tra il conflitto familiare e l’azione spaziale, senza riuscire a soddisfare completamente né gli appassionati di drama né quelli di fantascienza. La risoluzione finale, per quanto desiderata, non riesce a dare un senso di compiutezza, lasciando la sensazione che la serie avrebbe potuto fare di più, ma non ha trovato il giusto ritmo per sviluppare entrambe le sfaccettature.
In conclusione, Away è una serie che lascia perplessi. Mentre ha il potenziale per esplorare in modo significativo la vita degli astronauti e i sacrifici personali legati a una missione spaziale, non riesce a mantenere una narrazione coerente né scientificamente solida né emotivamente potente. La serie risulta essere un miscuglio di elementi che non riescono a completarsi a vicenda, lasciando spazio a numerosi interrogativi e, soprattutto, a una sensazione di incompiuto. Se da un lato può essere apprezzata per la sua fotografia e il tentativo di approfondire la dimensione umana della missione spaziale, dall’altro Away si perde troppo spesso nelle sue contraddizioni narrative, risultando una produzione che non riesce a soddisfare appieno le aspettative dei fan dei generi coinvolti.
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