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Atari shock: il Crash del Videogioco del 1983. La Crisi che Ha Trasformato l’Industria

Il “crash” del videogioco del 1983, conosciuto in Giappone come “Atari Shock”, rappresenta uno dei periodi più critici nella storia dell’industria videoludica. Questo evento, che ha avuto luogo tra il 1983 e il 1985, ha avuto conseguenze devastanti, specialmente per il mercato statunitense. Quello che fino a pochi anni prima era un settore in forte espansione, si è trovato improvvisamente di fronte a una grave recessione. I ricavi che nel 1983 avevano raggiunto i 3,2 miliardi di dollari sono crollati drasticamente fino a toccare appena 100 milioni di dollari nel 1985, segnando una perdita del 97%. Questo evento ha segnato la fine della seconda generazione di console per videogiochi in Nord America e ha indebolito anche il mercato delle sale giochi, sancendo la fine dell’epoca d’oro di questi spazi di intrattenimento.

Le cause di questo disastro economico sono molteplici. Una delle principali fu la saturazione del mercato delle console. Durante gli anni precedenti al crash, il mercato videoludico si trovava inondato da una varietà di console, tra cui l’iconica Atari VCS (o Atari 2600), che dominava il settore dal suo lancio nel 1977. Tuttavia, con l’arrivo di nuovi modelli da parte di Atari e delle compagnie concorrenti, come Odyssey², Intellivision, ColecoVision e Vectrex, la concorrenza è aumentata notevolmente, creando un mercato sovrasaturato che ha ridotto il potenziale di vendita delle nuove console. Allo stesso tempo, l’eccessiva produzione di cartucce e la continua immissione di nuovi giochi ha portato alla creazione di enormi stock invenduti, contribuendo al fallimento di molte aziende.

Un altro fattore che ha accelerato il crollo fu il declino della qualità dei giochi. Prima del 1979, le console erano dominate dai produttori di giochi interni, come Atari, ma la creazione di Activision nel 1979 ha dato inizio al fenomeno dei sviluppatori di giochi terzi. Inizialmente, solo poche aziende come Activision erano in grado di produrre giochi di qualità, ma la rapida proliferazione di nuovi sviluppatori, molti dei quali inesperti, ha inondato i negozi con giochi di bassa qualità. Questo ha generato una competizione spietata, in cui i giochi si copiavano a vicenda, replicando idee popolari senza innovare, risultando in un’esperienza di gioco deludente per i consumatori.

La concorrenza dei computer domestici ha avuto un ruolo altrettanto rilevante nel declino delle console. A partire dal 1977, i computer come l’Atari 400 e 800, e successivamente il Commodore 64, che offrivano giochi più sofisticati e altre funzionalità come l’elaborazione di testi e l’accounting domestico, sono emersi come alternative valide alle console da gioco. Questi computer, grazie alla loro maggiore capacità di memoria e processori più veloci, erano in grado di supportare giochi più complessi e offrivano funzionalità che le console non potevano eguagliare. Inoltre, i giochi per computer, distribuiti su floppy disk o cassette, permettevano lo sviluppo di una fiorente industria di sviluppatori indipendenti, mentre le console erano limitate a giochi su cartuccia.

Il “crash” del 1983 ha avuto ripercussioni immediate e devastanti. Le vendite di giochi per console sono crollate da 3,2 miliardi di dollari nel 1982 a soli 100 milioni di dollari nel 1985, a causa della sfiducia dei consumatori e dei rivenditori. Molti titoli che inizialmente avevano un prezzo di 35 dollari (equivalenti a circa 99 dollari nel 2021), sono finiti nei cassonetti e nelle bancarelle a prezzi stracciati di soli 5 dollari (14 dollari nel 2021). Questo afflusso di giochi a basso costo, spesso di scarsa qualità, ha ulteriormente danneggiato l’immagine dell’industria videoludica, spingendo i consumatori a diffidare dei prodotti futuri.

La crisi è culminata con una massiccia ritirata di molte aziende dal settore. Magnavox abbandonò completamente il mercato, Imagic fallì dopo aver ritirato la sua offerta pubblica iniziale, e Atari, uno dei principali attori del mercato, perse ben 356 milioni di dollari entro il 1983. Il debito accumulato portò Atari a licenziare il 30% dei suoi dipendenti e a trasferire la produzione in Asia, mentre la compagnia si trovò con enormi quantità di giochi invenduti, tra cui titoli iconici come E.T. the Extra-Terrestrial e Pac-Man, che furono seppelliti in una discarica a Alamogordo, New Mexico. Questo divenne un simbolo duraturo del crollo dell’industria. Nel 2014, storici dei videogiochi ottennero il permesso di scavare nel sito, rivelando che non erano milioni, ma circa 728.000 cartucce a essere state seppellite, sfatando così il mito urbano.

Nonostante i tentativi di recupero da parte di Atari, la fiducia nel mercato era ormai ai minimi storici, e per anni gli analisti dubitarono della capacità dell’industria di riprendersi. Tuttavia, due eventi chiave nel 1985 segnarono l’inizio di una ripresa: l’incremento delle vendite di personal computer e l’introduzione, in versione limitata, del Nintendo Entertainment System (NES) in Nord America. Il NES, noto in Giappone come Famicom, è stato il motore di questa rinascita, grazie a una strategia mirata che ha incluso giochi di alta qualità e una gestione rigorosa dei diritti di licenza, evitando la saturazione del mercato che aveva causato il disastro precedente.

La lezione più grande che l’industria ha imparato dal crollo del 1983 è che la qualità deve sempre prevalere sulla quantità. Sebbene il “crash” abbia avuto effetti devastanti, ha anche segnato l’inizio di una nuova era per i videogiochi, in cui la qualità dei titoli è diventata una priorità assoluta. Questo cambiamento ha portato al successo globale di Nintendo e di altre aziende come Sega, che hanno dominato il mercato videoludico negli anni successivi. La crisi ha quindi avuto l’effetto di rimodellare il panorama videoludico, ponendo le basi per lo sviluppo delle console moderne e per la creazione di standard più alti, che continuano a guidare l’industria fino ai giorni nostri.

Redazione

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