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Alpha Dog di Nick Cassaventes

“I bambini ci guardano” era il titolo di un vecchio film italiano di De Sica. Oggi i bambini non vogliono più guardare ma fare, vogliono vivere, bruciare le tappe utilizzando qualsiasi mezzo, scimmiottando i divi alla tv, e sognando un mondo da perfetti Peter Pan, dove tutto è lecito. Questa è la vita dei giovani adolescenti raspanti Californiani, non più in cerca dell’onda perfetta ma in cerca di droghe pesanti per poter trascorrere le ore.

James Hollywood non è un personaggio inventato e neanche la sua combriccola di ventenni mezzi-gangster, falsi-imprenditori: sono personaggi veri, che ora scontano le loro azioni in galera, alcuni a vita, altri di meno, a James spetta il patibolo. La realtà, come per l’undici settembre, supera la fantasia.

Nick Cassaventes, cioè il regista non è uno sprovveduto, è il figlio di John Cassavetes, cineasta molto attivo negli anni sessanta. “Faces” uno dei suoi più grandi successi. La sua fama si deve al suo modo di fare cinema, al suo attaccamento al realistico, fino ad arrivare al documentaristico. Nick, con il suo film, sceglie la via del quasi-documentario. L’azione è lenta, seguiamo la giornata tipo di questi “piccoli Montana”, nelle loro suntuose ville fra uno spaccio e una spacconeria, fino ad un intoppo, una parola detta male, un pugno di troppo che fa scatenare l’ira di Jhonny Truelove e ad iniziare una guerra.

Avendo ingurgitato troppi video rap, i giovani gangster fanno la mossa sbagliata, e rapiscono il fratellino di Jhonny Truelove. Tutto sembra una farsa, un gioco, fra festini e lezioni d’amore in piscina. Frankie, il fratellino, se la spassa incurante di essere un sequestrato; fino all’inevitabile: Frankie deve sparire, e il gioco del gangster si trasforma in tragedia. L’accusa sociale è tangibile, la si sente dal primo fotogramma. La guerra di James e Jhonny non è circoscritta al territorio di Los Angeles, ma è di tutti di noi, è nostra. Racconta la nostra realtà, e non bisogna andare a indagare sulla cronaca americana per scoprirlo.

Cassavetes la realtà te la fa annusare, respirare. E questa realtà puzza! Sarà che si è sentito in causa perché sua figlia studiava nello stesso liceo di queste “allegre bande giovanili”, ma riesce a cogliere in pieno il disagio sociale. Il titolo ci mostra la chiave di lettura: per “Alpha dog” si intende il capobranco, e dog è il modo in cui gli afroamericani definiscono l’amico. Intorno a questo capo gira il film: nel leader che scappa, che fugge e lascia tutti nella merda. Non è solo James il leader, tutti lo sono per un po’: il tatuato Justin “Edison” Timberlake lo è per grande parte del film, poi lo diventa il boia di Frankie. Tutti avranno 15 minuti gloria, tutti possono essere il leader, in questo piccolo mondo di sballati alla periferia di Los Angeles. Il leader non c’è invece, la trama lo vuole, il film lo vuole, ma nella realtà non esiste una figura carismatica che guidi questi piccoli gangster. Sarà quella figura di genitori che Cassavetes ci mostra, o assenti o troppo zelanti, a trasformarli cosi?

Questi giovani lasciati a loro stessi, chiedono una figura che li segua e li sappia guidare che purtroppo è assente, in sua vece compaiono i volti dei tanti James, gli Edison, i Jhonny Trulove a farne le veci. Scimmiottano i tipi duri forti e muscolosi della tv, che se non hanno preso 15 pallottole in corpo non sono machi e quindi gay, come il tirapiedi di James sbeffeggiato dal branco. Usciti dal cinema ti viene da pensare a quanti di questi fatti accadono in tutto il mondo; gli episodi di bullismo – cioè la dose minore degli eventi narrati- sono all’ordine del giorno, gli stadi sono sempre più scenario di guerra. E alla fine una domanda che nasce spontanea: E se invece di logorarci con queste notti prima degli esami, pensassimo un po’ alle risse negli stadi ?

di Giulio Cangiano

 

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