La recensione di “Alita – Angelo della battaglia”

James Cameron fa sul serio: la produzione di “Alita: Angelo della Battaglia” è una prova tangibile della sua visione e determinazione nel portare il mondo del cinema verso nuove vette. Collaborando con Jon Landau e il regista Robert Rodriguez, Cameron ha messo in campo una produzione faraonica da 200 milioni di dollari, supportata dalla sua casa di produzione Lightstorm Entertainment.

La pellicola è un adattamento del celebre manga “Battle Angel Alita” di Yukito Kishiro, pubblicato per la prima volta nel 1991. Ambientata nel 26esimo secolo, in un futuro post-apocalittico, la storia si svolge in un contesto dominato dalla tecnologia e dalle disuguaglianze sociali. La Città di Ferro, un’area industriale costruita per rifornire la città flottante di Zalem, è il palcoscenico principale del film. I rifiuti della città levitante vengono scaricati in una discarica situata proprio al centro della Città di Ferro.

Il cuore della trama ruota attorno ad Alita, una giovane cyborg interpretata da Rosa Salazar, nota per il suo ruolo in “Maze Runner”. Alita viene trovata dal dottor Dyson Ido, un esperto di cibernetica che, durante una ricerca nella discarica, rinviene il suo corpo gravemente danneggiato ma ancora vitale. Dopo averla riparata e risvegliata, Ido le dà il nome di Alita, poiché non ha memoria del suo passato. Il film segue il percorso della giovane cyborg mentre cerca di scoprire chi è veramente e come si inserisce in un mondo dove le battaglie sono una parte integrante della vita quotidiana.

Alita scopre che la città è governata da una sorta di legge della giungla, mantenuta dai “braccatori” – cacciatori di taglie stipendiati dalla fabbrica che rifornisce Zalem. La giovane si imbatte in Hugo, un giovane che le rivela la dura realtà della Città di Ferro e le presenta il motorball, uno sport violento e popolare. Tuttavia, la vera sorpresa per Alita arriva quando scopre le sue incredibili capacità combattive, che emergono durante uno scontro con una cyborg assassina.

Il film non si limita a esplorare le avventure di Alita, ma scava profondamente nel suo passato. Scopriamo che il cuore di Alita è alimentato da un reattore ad antimateria, una tecnologia perduta dell’Unione delle Repubbliche Marziane (U.R.M.). Questo elemento aggiunge una dimensione di mistero e potere alla sua figura. La trama si complica ulteriormente quando Alita affronta Grewishka, un cyborg potenziato, e si confronta con le sue stesse origini e con la brutalità di Zalem.

L’opera di Rodriguez è una miscela di azione adrenalinica e profonde riflessioni sull’identità e il destino. L’aspetto visivo del film è semplicemente spettacolare: la grafica è impeccabile, e i dettagli dei paesaggi futuristici e dei personaggi cybernetici sono resi con una precisione che cattura l’immaginazione. La nanotecnologia e le innovazioni visive sono una gioia per gli occhi, e la rappresentazione di una società distopica è tanto affascinante quanto inquietante.

La pellicola, pur avendo un finale che può sembrare affrettato e denso di eventi, è in grado di affascinare e coinvolgere. Il tema dell’amore e della ricerca dell’identità in un contesto così duro e implacabile potrebbe sembrare un cliché, ma nella mano esperta di Rodriguez e con la performance di Salazar, si trasforma in un racconto emozionante e coinvolgente. Alita, con la sua dolcezza e determinazione, giustifica da sola il prezzo del biglietto, diventando un personaggio con cui è facile empatizzare. “Alita: Angelo della Battaglia” è una pellicola che riesce a combinare l’azione frenetica con una trama profonda e ben congegnata. Il film è una prova della maestria di Cameron e del suo impegno per raccontare storie che non solo intrattengono, ma stimolano anche riflessioni più ampie. Con una grafica mozzafiato e un cast internazionale di alto livello, il film si configura come una sorprendente aggiunta al panorama cinematografico, con la speranza che una seconda parte possa approfondire ulteriormente questa affascinante saga.

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