“Akame ga Kill!” è una di quelle serie che colpisce nel segno, lasciando un segno profondo nella mente di chi la guarda. Nato come manga shōnen scritto da Takahiro e disegnato da Tetsuya Tashiro, il progetto è stato adattato in un anime nel 2014 dalla White Fox, uno studio che ha saputo dare il giusto ritmo a una storia tanto cruda quanto affascinante. L’anime, che è andato in onda dal 6 luglio al 14 dicembre dello stesso anno, si distingue per la sua regia curata da Tomoki Kobayashi e per una sceneggiatura che ha avuto la supervisione dello stesso Takahiro. L’accompagnamento musicale, realizzato da Taku Iwasaki, arricchisce ogni episodio, ma è davvero nelle sigle che risiede una parte della magia: la sigla d’apertura “Skyreach” di Sora Amamiya e quella di chiusura “Konna sekai, shiritakunakatta” di Miku Sawai, che poi sono state sostituite da “Liar Mask” di Rika Mayama e “Tsuki akari” di Sora Amamiya a metà stagione. Le sigle sono un piccolo dettaglio, ma fanno parte di quello che rende l’esperienza visiva di “Akame ga Kill!” davvero memorabile.
Dal punto di vista della distribuzione internazionale, “Akame ga Kill!” è stato accolto positivamente, trasmesso in simultanea con il Giappone su Crunchyroll, e con licenze distribuite in America del Nord da Sentai Filmworks, in Australia e Nuova Zelanda da Hanabee, e in Irlanda e Regno Unito da Animatsu. In Italia, la serie è arrivata solo nel 2019, in streaming su VVVVID, permettendo così a un pubblico più ampio di immergersi in questo turbinio di emozioni, tradimenti e scontri epici.
La trama di “Akame ga Kill!” ruota attorno a Tatsumi, un giovane guerriero proveniente da un villaggio povero, che, insieme ai suoi amici Ieyasu e Sayo, si reca nella capitale dell’impero sperando di trovare fortuna. Purtroppo, la capitale non è la terra promessa che Tatsumi si immaginava. Dopo essere stato derubato e abbandonato, trova rifugio presso una famiglia ricca, che, però, nasconde un oscuro segreto: rapisce viandanti per torturarli. In un momento di furia, Tatsumi scopre che i suoi amici sono stati tra le vittime e, giurando vendetta, si unisce ai Night Raid, un gruppo di assassini che combatte contro l’impero corrotto. Qui, le domande morali si fanno più acute: può un assassino portare giustizia? Un tema affascinante, che porta lo spettatore a interrogarsi sulla moralità delle azioni e sulla natura della giustizia.
Parlando di “Akame ga Kill!” non si può non notare quanto la serie attinga a piene mani da altre opere celebri, creando un mix potente che richiama altre storie iconiche, ma senza mai risultare una semplice copia. In primis, la serie condivide con “Elden Ring” e la saga “Souls” una sensazione di un mondo devastato, con una capitale corrotta e un impero che affonda nelle miserie a causa della brama di potere dei suoi leader. I colpi di scena, il mistero e la lotta tra la vita e la morte sono alla base di entrambe le storie, e non è difficile fare paragoni tra i colpi di stato nell’universo di “Akame ga Kill!” e le intricate trame politiche di “Elden Ring”.
“Akame ga Kill!” presenta anche una struttura narrativa che richiama “Fullmetal Alchemist”. Il protagonista, Tatsumi, intraprende un viaggio eroico simile a quello di Edward e Alphonse Elric, partendo da un punto di disperazione assoluta per cercare giustizia e salvare il suo villaggio. Ma, come in “Fullmetal Alchemist”, l’eroe non è solo, e il confronto con gli antagonisti diventa centrale. Ciò che colpisce di “Akame ga Kill!” è che l’autore riesce a far emergere una certa empatia anche nei confronti degli antagonisti, riuscendo a mostrare più sfaccettature dei personaggi che si trovano dall’altra parte della barricata.
Un altro aspetto che distingue questa serie è la sua capacità di bilanciare episodi autoconclusivi e archi narrativi più complessi, come in “Cowboy Bebop”. Ogni episodio porta il suo carico di novità, con missioni sempre diverse e nuove sfide per i protagonisti. Tuttavia, c’è anche un arco narrativo che lega tutto insieme, culminando in una fine che non lascia nessuno indifferente. Ma, come ogni fan del genere sa, una delle caratteristiche più sorprendenti di “Akame ga Kill!” è la sua audacia nel non risparmiare nemmeno i personaggi principali. Morti inaspettate e scioccanti si susseguono senza tregua, dando alla serie un’atmosfera drammatica e intensa, che ricorda le dinamiche di “Game of Thrones”. La capacità di uccidere i protagonisti senza compromettere la trama è una delle più grandi doti di “Akame ga Kill!” che riesce a mantenere sempre alta la tensione, anche quando sembra che i personaggi non possano più sopravvivere.
Infine, l’aspetto visivo non delude. La qualità della grafica e l’animazione sono di alto livello, con combattimenti mozzafiato e ambientazioni ricche di dettagli che riescono a immergere completamente lo spettatore nell’universo distopico di “Akame ga Kill!”. A completare il quadro ci pensa la colonna sonora che, pur non essendo un capolavoro indimenticabile, riesce a sostenere perfettamente il ritmo incalzante della serie.
In conclusione, “Akame ga Kill!” è un anime che sa come colpire, con una trama affascinante, una buona dose di azione e colpi di scena in grado di tenere chiunque sul filo del rasoio. Mescolando elementi di altre opere di successo, ma senza mai risultare banale, questa serie riesce a essere una delle migliori nel suo genere, adatta a chi ama storie intense, personaggi complessi e un pizzico di violenza che non teme di essere audace. Se non l’avete ancora visto, è il momento giusto per immergervi in questo viaggio senza ritorno.