“Quando sono arrivati qui i bianchi, avevano con loro soltanto la Bibbia, mentre noi avevamo le nostre terre. Ci hanno insegnato a pregare, con gli occhi chiusi: quando li abbiamo riaperti i bianchi avevano le nostre terre e noi avevamo la Bibbia”.
Jomo Kenyatta
Il processo di colonizzazione è l’espansione di una nazione su territori e popoli all’esterno dei suoi confini, spesso per facilitare il dominio economico sulle risorse, il lavoro e il commercio di questi ultimi. Il termine indica anche il dominio coloniale mantenuto da diversi Stati europei su altri territori extraeuropei lungo l’età moderna; indicando il corrispettivo periodo storico, cominciato nel XVI secolo, contemporaneamente alle esplorazioni geografiche europee, assumendo nel XIX secolo il termine di imperialismo, e formalmente conclusosi nella seconda metà del XX secolo, con la vittoria dei movimenti anti-coloniali. Infine, ma non per ultimo, il termine indica anche l’insieme di convinzioni usate per legittimare o promuovere questo sistema, in particolare il credo che “i valori etici e culturali dei colonizzatori siano superiori a quelli dei colonizzati “.
Ribaltando però la tesi convenzionale che data la diffusione planetaria della storia europea a partire dal XIX secolo, Serge Gruzinski ( storico francese, si interessa alla colonizzazione dell’America e dell’Asia, in particolare alle esperienze coloniali come luogo di meticciato e di nascita di spazi ibridi) ne anticipa l’inizio al Cinquecento.Gli europei del 1500 cessano finalmente di essere confinati entro i paesaggi tradizionali nei quali hanno vissuto per secoli per cominciare a recarsi altrove. I contatti con tantissime altre civiltà li sconcertano, sollecitandoli allo stesso tempo a interrogarsi sui mezzi tramite cui assicurarsi un’espansione commerciale e l’autorità politica e religiosa in queste nuove terre. Più precisamente, in terre come il Messico e l’America Iberica, dove i conquistadores colonizzano le società native e vi introducono il nostro modo di scrivere e la storia. Pur essendo funzionale alla costruzione di un sistema di dominio e all’affermazione dell’eurocentrismo storiografico, “ La Machine à remonter le temps “ ( la macchina del tempo ) si mette in moto in Messico agendo in un contesto estremamente frastagliato sul piano etnico, linguistico e culturale. Un contesto di cui l’autore, Gruzinski, ci restituisce l’articolazione attraverso un affascinante archivio fatto di codici pittografici coloniali, testi in azteco e opere in spagnolo rimaste per secoli al di fuori della circolazione a stampa. Tramite questa via riaffiora alla superficie anche il contributo offerto da indigeni e meticci all’ampliamento degli orizzonti spaziali e antropologici della coscienza storica europea.
A partire dalla corona di Castiglia e da Carlo V, a seguire la corona Inglese, vogliono conoscere tutto riguardo i nuovi popoli, tutto ciò per determinati motivi: sfruttare più efficacemente la manodopera indigena, conoscere i meccanismi del tributo indigeno, ecc. partendo da questi quesiti si arriva ad interrogarsi riguardo il passato degli indiani della Nuova Spagna. Ha così inizio la cattura delle memorie. Da tale ridimensionamento planetario deriva la necessità di opporre costantemente il moderno all’antico. Lo storicismo impone un suo modo di considerare il tempo lineare e il passato locale, partendo dall’assunto che una società è articolata in una serie di categorie prestabilite. In tale prospettiva il sociale, il politico, il religioso, il culturale si configurano tutti come storicamente determinati.
Questi popoli vengono visti come “barbari “. Il motore dello sviluppo storico rimane monopolio e collante dell’Europa moderna. I criteri che per noi definiscono il concetto di storia sono esclusivamente eurocentrici, il che implica che tutte le società locali sono giudicate in base a criteri occidentali, la conquista, la colonizzazione e la mondializzazione; configurandosi come anni zero in cui precedentemente regnava la preistoria. La storicizzazione vera e propria ha inizio in Messico durante tutto il 1500. Meticci, spagnoli e indigeni cercano di scrivere la storia tenendo presente che: la storia della salvezza è la chiave esplicativa del destino dell’uomo e della società, e che questa storia risulta l’unico mezzo per acquisire la conoscenza empirica di ciò che è umano e la comprensione degli esseri umani presuppone una conoscenza storica.La prima ondata di evangelizzazione francescana favorisce queste iniziative: ad esempio, potremmo citare Toribio de Benavente, detto Motolinìa (missionario francescano spagnolo, ricordato in Messico come uno dei più grandi evangelisti.). I suoi scritti rappresentano il preludio americano del processo di storicizzazione che finirà per diffondersi in tutto il mondo. Nel 1936, viene aperto un collegio a Tlatelolco per istruire le elitè indigene, poiché si avverte la necessità di consolidare la presenza spagnola stabilendo un legame con l’epoca precedente.
Tramite il resoconto degli anziani e grazie alla presenza di aiutanti che gli danno una mano a decifrare quello che dicono gli indigeni nelle loro pitture e nelle pitture miste a comenti scritti, Motolinia costruisce i capitoli di “la Historia e i Memoriales“. Motolinia, vede in ogni avvenimento il sigillo della volontà divina. Presso il convento di Huejotzinco, nei pressi di Tlaxcala, il francescano aiuta i nativi a combattere gli abusi e le atrocità commesse da Nuño Beltrán de Guzmán (esploratore spagnolo, amministratore coloniale della Nuova Spagna. Vendette migliaia di indigeni fatti prigionieri nelle isole dei Caraibi). Anche se Motolinia protegge gli indiani dagli abusi di Guzmán, non condivide le opinioni del domenicano Bartolomé de Las Casas (vescovo cattolico spagnolo impegnato nella difesa dei nativi americani), il quale vede nella conquista e nella sottomissione degli indiani un crimine contrario alla moralità cristiana. Motolinia è convinto che Dio avrebbe protetto gli indiani una volta convertiti, e che l’opera missionaria è quindi più importante della lotta al sistema delle encomienda. Per questo motivo continua a difendere la conquista, le encomienda e l’evangelizzazione.
Bernardino de Sahagún ( importante missionario francescano spagnolo ) scrive in trilingue nahuatl-spagnolo e latino il famoso “Codice Fiorentino” conservato a Firenze. Sostenendo che questa opera missionaria si configura come opera distruttiva e come tanti altri cerca di investigare per divulgare questa gravità il più possibile. na chiara constatazione è il fatto che parte dell’organizzazione religiosa è connessa con la macchina bellica degli amerindiani. Ad es. il cannibalismo è uno degli elementi usati per dire che la civiltà amerindiana era imperfetta a causa di queste attività inumane. Il cannibalismo è stato visto secondo William Arens ( Antropologo culturale) da molte popolazioni del mondo come vizio da condannare, imputare, senza però vedere i fatti reali a esso connessi. L’azione bellica è uno strumento importante per la colonizzazione.
Lo stesso Hernán Cortés ad esempio non è solo un marinaio ma anche un guerriero, così come molti missionari erano uomini d’arme. Durante lo scontro fisico tra Cortez e Aztechi, gli spagnoli hanno la meglio perché tutto quello che posseggono è un apparato di morte. Tale scontro con successiva invasione e colonizzazione ridusse a zero decimando intere popolazioni, villaggi e città- stato dell’America latina. Tutto quello che è “non cristiano”, “blasfemo” è stato distrutto e raso al suolo. Un chiaro esempio lo abbiamo con l’antica Tenochtitlan, capitale dell’impero azteco, attuale Città del Messico. Lo zocalo ( piazza cittadina) con i suoi meravigliosi monumenti è stato completamente raso al suolo. Come il meraviglioso Templo Mayor dedicato alle duplici divinità Tlaloc, dio della pioggia e Huitzilopochtli, dio della guerra, è stato soppiantato dalla cattedrale cristiana e delle sue vestigia ne rimangono che meri resti.
Le popolazioni native sono state violate non solo del loro corpo fisico, ma recise anche in qualcosa di più profondo poiché private di tutto, della loro storia, della loro religione, della loro cultura, delle loro origini…della loro stessa identità e libertà di individuo.
Bartolomé de Las Casas ( vescovo e cattolico spagnolo) è stato il primo ecclesiastico a prendere gli ordini sacri nel Nuovo Mondo, divenne Domenicano. Grazie alla sua attività di denuncia del sistema di sfruttamento degli indios vengono compilate le “Leggi nuove” ratificate da Carlo V, grazie alle quali vengono abolite le encomiendas (strutture organizzative agricole fondate su un sistema schiavistico-feudale, principale causa dello sfruttamento dei nativi). De Victoria, invece riesce a giustificare l’opera di colonizzazione accertando che gli amerindiani sono come i “ bambini” che devono crescere ed essere educati e guidati per un adeguato sviluppo. Dal punto di vista bellico si riconosce il fatto che con questo modus operandi si possono muovere guerre giuste come “opera civilizzatoria”, cioè : civilizzazione delle anime, sfruttamento delle risorse e sfruttamento economico. I protagonisti indiscussi della colonizzazione furono i Gesuiti, appoggiati dal Papato e dalle forze imperiali. Un ingranaggio così potente doveva avere sudditi obbedienti e fedeli alla legge della corona. Questi personaggi sono reali, coloni e missionari. Sono soprattutto le Americhe, che nel secolo XVI vengono dominate territorialmente da due regni cristiani, quello spagnolo e quello portoghese, l’obiettivo principale era l’evangelizzazione e la fondazione di una vera e propria colonia gesuita.
L’ordine entra tardivamente in America, (nel 1549, in Brasile). I Gesuiti iniziarono la loro opera di evangelizzazione in Florida, successivamente si spostarono in California (quest’ultima ritenuta barbara e pericolosa ). Proprio in area amerindiana la forza della coercizione inizia ad essere più presente, proprio perché si immaginava un doppio canale: quello del convincimento/educazione; se il mezzo educativo non bastava si passava alla violenza. Queste missioni vengono inviate per lo più in chiave sperimentale, poiché non sono assolutamente preparati a quello che dovranno affrontare. Per capire il perché di questo ordine, bisogna capire che il mondo missionario giunto nelle Americhe guarda prettamente agli ordini di strada ( minori ) quelli mendicanti attivi già dal 1300. L’ordine infatti, nasce con la precisa consapevolezza che si deve parlare a un mondo rurale, come quello del popolo da evangelizzare: lingue diverse e volgari.
Durante le missioni i Gesuiti compilano diari per poi consegnarli ai gendarmi e alla corona stessa. Fanno rapporto delle proprie esperienze, osservando e traducendo su pagina ciò che avviene, trascrivendo le proprie considerazioni da trasmettere poi ai propri confratelli. Molte delle lettere (di giovani 16-18 anni ) descrivono come entrando nell’ordine la salvezza fosse dietro l’angolo, descrivono delle loro intraprendenti e avventurose missioni da “guerrieri” in terre misteriose e incontaminate. Il loro doveva essere un messaggio cosmopolita, trasmettendo un forte senso di mistero e avventura. Questi missionari sono un chiaro strumento di colonizzazione. L’atto eroico del viaggio ha a che fare con l’atto eroico dell’apprendimento di usi e costumi altrui. Importante, in particolar modo l’apprendimento della lingua natia vista come veicolo di comprensione e conoscenza dell’altro. Una delle prime opere comparative è quella di Jose de Acosta (gesuita spagnolo, II metà del 500). Il suo grande interrogativo è “da dove vengono gli Amerindiani?”. Nel testo “Historia natural y molar de las Indias” crede che gli amerindiani provengano dall’Asia. Il gesuita dice che i missionari devono comprendere gli indiani dall’interno, nel loro vissuto e non come ottica comparativa tra razze; e solo l’esperienza e l’approccio con certe realtà può rivelarne la vera essenza. Egli tende a comparare le popolazioni asiatiche a quelle latino-greche per la loro raffinatezza e cultura. Per lui lo studio e comprensione sono le basi per entrare in stretto contatto con la storia e la cultura locale. Il gesuita, definisce “civiltà altre” quelle realtà che se pur complesse sono macchiate dal peccato della loro ignoranza dalla fede cristiana. All’interno di queste civiltà impure pone anche popoli del continente indiano, esseri civili ma preda di istinti non domati. Al culmine di questa scala vengono poste le popolazioni del Giappone e della Cina. Pensando che questi ultimi siano facili da evangelizzare poiché popoli molto raffinati e curati sia nel quotidiano, che nell’espressione sociale, nel contesto filosofico e astratto. La loro razionalità avrebbe constatato la superiorità o il senso profondo della fede cattolica portandoli docilmente a farsi convertire al cristianesimo, ampliando così la schiera dei popoli civili consegnati tramite la fede cristiana al regno di Dio.
I Gesuiti, si muovono con astuzia, evangelizzando, ma rispettando, anzi valorizzando le lingue e la cultura locale, e soprattutto dominando economicamente gli immensi territori posti sotto il loro controllo. Amministrano con ottima organizzazione le loro immense proprietà agricole producendo: mais, ortaggi, vino, cioccolato, tabacco, vetro, e altri beni che esportano con successo in Europa. Quella dei Gesuiti potrebbe essere vista come una delle prime multinazionali. Il credo religioso cattolico invade ogni cosa (dalla religione, alla famiglia, al senso del peccato, alla vita dopo la morte). Solamente dopo il 4 luglio 1776, con l’indipendenza degli stati americani, vengono cacciati gli ordini religiosi percepiti con forte legame con la corona europea. I Gesuiti però non si sciolgono. La maggioranza di essi ripiegano in Russia dove poi si riorganizzarono. Nell’800, una grande processo di evangelizzazione seppur con processi diversi avviene anche in Africa, India e Cina. Matteo Ricci (gesuita), in Cina ha l’onore di essere introdotto al cospetto del celeste imperatore. Secondo Ricci l’amore per gli antenati da parte dei cinesi viene visto come un rito molto importante e civile accomodato alla logica cristiana, così come il cerimoniale del tè giapponese accomodabile all’interno delle liturgie cattoliche e quindi rispettabile in quanto tale. Un modo proficuo per allargare la religione a più confini. Alessandro Valignano (gesuita), ammira l’educazione dei bambini cino-giapponesi, da subito educati e obbedienti a differenza dei bambini occidentali (caucasici da come veniamo definiti dai Giapponesi). Nel continente asiatico il messaggio cristiano viene percepito dagli interlocutori come messaggio eretico. Il Giappone riesce a liberarsi dall’ evangelizzazione agli inizi del ‘900, tramite un processo politico di isolamento molto importante, il potere del convincimento con loro non fu così efficace.
Quali furono, dunque, le conseguenze generali del colonialismo sui territori dipendenti alla fine del periodo coloniale? La colonizzazione nasce dalla falsità e dalla disonestà e genera due conseguenze deleterie: il colonialismo e il razzismo. La presunta superiorità razziale del bianco è la giustificazione “morale” che l’Europa per secoli ha addotto nel depredare le risorse di interi paesi, nell’abbattere civiltà millenarie, nel brutalizzare i “diversi” in un’opera spietata di oggettificazione delle persone. L’Occidente è il grave responsabile di tale scempio. Il colonialismo è pericoloso perché porta alla disumanizzazione del colonizzatore, che vede nell’ altro non la persona, ma la bestia da torturare, da opprimere, da degradare. Se si vuole fermare la decadenza del vecchio continente è necessaria una rivoluzione che guardi in modo nuovo i colonizzati, riconoscendo e rispettando finalmente il loro diritto di nazionalità, di individui liberi con i loro usi, costumi, religioni e visione del mondo. Infondo quale società è giusta e quale è sbagliata”, quali usi e costumi sono più consoni di altri, qual’ è il credo giusto da seguire e quello da distruggere… non possiamo di certo noi popolo bianco arrogarci questo diritto, diritto che non ci appartiene. La domanda che ci dovrebbe sorgere più ovvia è: chi è più barbaro l’autoctono o il colonizzatore?
Fonti:
– Alberto Caturelli, “Il Nuovo Mondo riscoperto”, pubblicato in Italia dalle Edizioni Ares (1992).
– L’ Europa e l’evangelizzazione del nuovo mondo, L. Vaccaro (Curatore), 1995.
– La ciudad de México : una historia / Serge Gruzinski ; traducción de Paula López Caballero. Fondo de Cultura Económica / 978-968-16-7284-3.
– La máquina del tiempo. Cuando Europa comenzó a escribir la historia del mundo. Gruzinski, Serge, ISBN: 9786071670939 | Clave FCE: 003825L
Chiara Vantaggio
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