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Il Potere dei Cibi e i Cibi del Potere

Prendendo spunto da un seminario che seguii durante il corso di Antropologia Culturale, ho pensato di fare un piccolo approfondimento personale. A tal proposito ho potuto constatare che nel panorama teorico delle scienze sociali, della sociologia, e dell’antropologia l’alimentazione è stata spesso trascurata perché considerata come un fenomeno prettamente biologico.

Tuttavia, è a partire dagli anni Settanta, in seguito alle prime riflessioni antropologiche, anche la sociologia inizia ad occuparsi a pieno titolo di cibo ed alimentazione, considerando questi ultimi come fatti sociali,  come insiemi di rappresentazioni della società. Col tempo, ci si è resi conto che il cibo è un elemento socialmente costruito: è la società a creare la dieta degli individui; è sempre la società che ne stabilisce i rituali in cucina; è ancora la società a fondare quella coscienza culinaria e domestica che rende la tavola la vera protagonista della vita degli individui. Cosicché, l’alimentazione da fatto puramente biologico diviene e si realizza come prodotto culturale di una data società.

L’incontro tra scienze sociali e alimentazione avviene alla fine dell’Ottocento, per merito dell’antropologia culturale, che associa il cibo a una dimensione culturale e simbolica. Friedrich Engels analizza le condizioni delle classi operaie, con la conseguenza di una insufficienza rispetto al soddisfacimento dei bisogni alimentari primari, che invece dovrebbero essere garantiti dallo Stato.

Émile Durkheim, padre fondatore della scienza sociologica, analizza il cibo, connettendolo con il fenomeno religioso. La religione, infatti, secondo Durkheim altro non è che la trasfigurazione della società, la cui essenza sta nella divisione del mondo in fenomeni sacri e profani: all’interno dei fenomeni sacri, i riti rappresentano le regole di condotta che prescrivono all’uomo come comportarsi. La partecipazione ad un rito collettivo, come un pasto mistico, incentiva il senso di identificazione degli individui alla propria comunità di appartenenza poiché il cibo è qui considerato come strumento di purificazione e rito di passaggio.  Questo possiamo constatarlo tra le culture presenti in varie parti del mondo: dall’America, all’Asia, all’Africa fino alle remote terre Australiane e Polinesiane.  Riti che sopravvivono ancora adesso.

Il “Potere Coloniale “ è stata una delle dimensioni utilizzate come strumento di forza e cambiamento minando le certezze storiche delle popolazioni investite;  è  uno strumento subliminale che condiziona la quotidianità di una popolazione senza che questa se ne renda conto. Gli spagnoli, ad esempio, fino al tardo 700 non hanno integrato nella loro dieta cibi come il mais, cereali, legumi, pomodori… non capivano quanto fossero prodotti nutrienti, prodotti di grande sussistenza per i popoli dell’America Latina. Soprattutto il Mais simbolo identitario per eccellenza.  Questo importantissimo alimento ha assunto un enorme valore socio-culturale e religioso.

La riscoperta di un cibo che vuole ricollocarsi al centro del potere del Messico contro la storia coloniale, influenzando e condizionando il comportamento di ogni individuo. Altro alimento di particolare importanza per la sua rivendicazione fu il frutto del Cacao, alimento molto prezioso e ricco di grassi. La fava del cacao si diffuse anche come “ moneta “ commerciale.    Assumendo così grande rilevanza sia nell’assetto alimentare che economico. I coloni, da controparte, volevano imporre a queste popolazioni la produzione di frumento, perché secondo loro era l’alimento dei popoli coraggiosi e quindi l’alimento che dette agli europei una forza coloniale così preponderante. Il Riso degli asiatici, invece, agli occhi degli occidentali era visto come alimento debolissimo che rendeva queste popolazioni “schiavi” (deboli).

La relazione tra istinto e controllo sociale, subisce una metamorfosi continua: una volta che i comportamenti civili sono stati socialmente approvati, essi vengono trasmessi nella socializzazione dei nuovi nati come ovvi. Il semplice stare a tavola comporta il seguire delle regole ben precise, delle abitudini che sono diventate, col trascorrere del tempo e con il perfezionamento del processo di “civilizzazione”, veri e propri modelli culturali ( in alcune culture ,Musulmana ad esempio, è  il capofamiglia a dare il via alla consumazione del pasto ).

Fattore importante da non dimenticare, quando parliamo di cibo, dobbiamo rivolgere il nostro sguardo al passato, al presente e al futuro che ci aspetta. La storia ci insegna che il cibo non è solo nutrimento per la mera sopravvivenza ma anche potere, lotta e affermazione. Basti pensare alle sofferenze delle popolazioni più povere con status di forte malnutrizione e allo sfarzo in cui quelle più ricche hanno vissuto, nel corso dei secoli, generando il più delle volte spreco di cibo.

Il nutrimento come atto naturale inizia proprio con l’allattamento: qui non va dimenticata la complessa relazione tra donna e cibo. La mamma che nutre il figlio, che cucina per la famiglia, che partecipa ai digiuni religiosi, che lavora nei campi e a casa… Nel tempo la donna è stata considerata in tanti modi diversi: madre, moglie, santa, strega, guaritrice, assassina, seduttrice ecc. Una relazione, quella fra le donne e il cibo, che a tutti pare scontata e che invece è stata ed è ancora molto più significativa e complessa di quello che si pensa. Tra istinti primigeni, volontà di affermazione e razioni alle imposizioni sociali, le donne hanno sempre lottato per ottenere un ruolo autonomo nella società. Il cibo è proprio parte di questo.  Il rapporto delle donne con il cibo è “frutto di una costruzione culturale”. Per secoli il focolare domestico è stato l’unico luogo della casa in cui la donna avesse piena libertà di azione. È anche attraverso il cibo che le donne sono pervenute a una definizione dell’identità di genere, sebbene in molti casi come esito di condizionamenti maschili più che di scelte naturali.

A tal proposito possiamo allacciarci al concetto di “sessismo”, come processo discriminatorio sulla base di appartenenza a un genere che comporta prevaricazione e sfruttamento di un genere sull’altro. Le pratiche e le abitudini alimentari ci mostrano una differenza tra generi: alcuni cibi sono considerati più maschili (carne) altri più femminili (vegetali). In alcune culture ad esempio, se le donne mangiano cibi maschili perdono il flusso mestruale, viceversa si perde la virilità. A volte però, di nascosto, l’uno tende a mangiare il cibo dell’altro per assimilare comunque il reciproco potere.

L’antropologo Michael Herzfeld negli anni 80 effettua una ricerca a Creta. Tramite la sua ricerca si evince che la carne è il piatto principale del pasto. Ampia visione di subordinazione della donna da parte dell’uomo, una chiara affermazione di un patriarcato che continua a sopravvivere tenendo ben salde le sue radici. Le donne e gli uomini devono mangiare alimenti diversi per via della loro “diversità “ .  Associare l’alimento vegetale alle donne è simbolo di passività ( es.nei rapporti sessuali oppure  nell’atto di condurre una vita passiva improntata, schematica e organizzata ). Secondo tale concezione mentale se un uomo tende a mangiare vegetali lo porta di conseguenza a diventare un essere passivo come una donna.  La liberazione delle donne quindi si può ottenere solo con la liberazione della natura stessa e viceversa.  Poiché vi sono collegamenti costruiti e radicanti nel tempo tra le due parti.  La liberazione dalla “caccia”, dal dominio maschile si ha solo unendo le forze urlando a gran voce i propri diritti.

Ogni secolo ha la sua spada di Damocle, al giorno d’oggi purtroppo la parità a tavola faticosamente raggiunta dalle donne dopo secoli di privazioni e restrizioni, sembra minacciata dall’affermarsi di modelli estetici che esigono magrezza ed estrema moderazione nel mangiare, al limite del digiuno totale. Sono sempre più diffuse, soprattutto tra le giovanissime, le patologie legate al rifiuto o al desiderio compulsivo di cibo, cioè l’anoressia e la bulimia.  L’importante studioso Claude Fischler, il quale inaugura i moderni studi di sociologia dell’alimentazione. Nell’opera “L’onnivoro” egli elabora il neologismo gastro-anomia, col quale va ad indicare l’esistenza, nella modernità, di una gastronomia priva di regole e allo stesso tempo soggetta ad enormi contraddizioni. Tali contraddizioni generano confusione e ansia anche per il consumatore stesso. Negli ultimi anni ha preso piede in forte aumento lo stile alimentare del vegetarianismo. Termini come: “vegetarianismo” e “vegetariano” risalgono al 1847, con la prima associazione vegetariana, la britannica “Vegetarian Society “. Questo stile alimentare consiste nel seguire una dieta a base di alimenti di origine vegetale con diverse modalità a seconda che vengano ammessi o esclusi latticini, uova e miele. Si tratta di un’ideologia in continua crescita: ogni giorno sempre più persone decidono di diventare vegetariane. È quanto sostiene un sondaggio condotto dal VRG (Vegetarian Resource Group) secondo le cui stime già nel 2006 il 6,7% della popolazione mondiale era vegetariana La scelta per questa dieta è legata alla salute, la filosofia di vita, rispetto per gli animali, tutela ambiente. Complessivamente per le donne la questione ambientale ha tre volte rilevanza rispetto agli uomini.  La dieta vegetariana è legata al mangiar leggero: salute e magrezza. Le donne, a tal proposito, sembrano ben associate come se fossero più compassionevoli alla sofferenza.

Se parliamo di vegetarianismo e Veganismo non possiamo non prendere in considerazione il concetto della McDonaldizzazione della società. Sintetizzando tale approccio teorico, si può affermare che questa altre multinazionali inerenti ( Burger King, KFC, Old Wild West, Jollibee ) costituiscono un processo profondo e inarrestabile, reso possibile dal rispetto di alcuni requisiti specificatamente capitalistici. Diventando il “cibo delle masse”. Puntando su un cheap prizes alla portata di tutti. Ci troviamo davanti a una psicologia di marketing spicciola ma allo stesso tempo molto ingegnosa.  George Ritzer, ad esempio, sottolinea come l’hamburger rappresenti il miglior esempio di standardizzazione e omologazione sociale: dimensione e peso sono uguali in tutti i paesi del mondo, la confezione è uniforme e le modalità di consumo sono preordinate. Dal punto di vista della teoria sociologica del cibo e dell’alimentazione, questo approccio sottolinea la progressiva contaminazione e ibridazione di culture differenti all’interno dell’intero globo terrestre.

Per chiudere il cerchio, in base agli argomenti sopracitati ( Vegetarianismo e MCDonalizzazione) possiamo in qualche modo  allacciarci all’ “Alimentazione Sostenibile“:  un tipo di alimentazione che cerca di avere il minor impatto negativo possibile sull’ambiente. Si basa sull’idea che noi, singoli consumatori, possiamo ridurre in modo drastico la nostra impronta ecologica in base a cosa decidiamo di mettere nel nostro piatto.  L’industria agroalimentare è la prima al mondo per lo sfruttamento delle risorse del pianeta. Il 50% del suolo e il 70% delle risorse idriche globali vengono utilizzati per produrre il cibo che mangiamo. Questo significa che la nostra alimentazione ha un altissimo impatto sul pianeta.

Il cibo influisce su:

  • Emissione di gas serra
  • Inquinamento del suolo (fertilizzanti, pesticidi ecc..)
  • Disboscamento eccessivo e illegale di foreste e zone pluviali ( il 70% della deforestazione dell’Amazzonia è stato effettuato per fare spazio ai nuovi allevamenti di bovini e alle monocolture destinata a diventare mangime per il bestiame)
  • Perdita di biodiversità.
  • Pandemie (ovvero le malattie che arrivano dagli animali, chiamate “zoonosi”)
  • La fame nel mondo (al momento solo il 60% del cibo coltivato è destinato alle persone, il resto è utilizzato per nutrire il bestiame.)

In conclusione, possiamo dire che il cibo è considerato come importante strumento per lo sviluppo locale e sociale: dopo aver visto il proprio ruolo essere orientato alla globalità, nello scenario attuale ritorna ad essere espressione della località. In questo quadro, i prodotti locali e i marchi ad essi associati (IGP, DOP, etc.), non solo rappresentano l’identità di un determinato territorio, ma celano dietro la loro valenza anche l’identità e la cultura di un popolo. Anche dal punto di vista teorico, si sta sviluppando un nuovo approccio, dando uno sguardo attento al ruolo del territorio e alle specificità delle situazioni come fattore attivo nella generazione dei fenomeni sociali connessi alla tematica del cibo. Ed è proprio attorno al cibo e all’alimentazione che si sviluppa, nel contesto post-moderno, anche il cosiddetto turismo culinario, il quale comporta anche la nascita di nuove attività turistiche e ricettive, con percorsi enogastronomici dedicati. Questi recenti sviluppi, s connessi con la tematica del cibo e dell’alimentazione, possono comportare nuovi ed interessanti punti di vista su cui siamo chiamati a riflettere, spunti da cui partire per scoprire inedite declinazioni del mondo contemporaneo. Perché il cibo è lo specchio riflesso della nostra società.

NB( immagini prese dal web )

Chiara Vantaggio

Chiara Vantaggio

Chiara Vantaggio, Archeologa, ha conseguito la laurea triennale in Scienze storico e archeologiche del mondo classico e orientale presso l’Università Sapienza di Roma. Attualmente sta terminando la Magistrale presso l’Orientale di Napoli. Nel corso dei suoi studi accademici, ha avuto la possibilità di fare numerosi viaggi studio e scavi archeologici in Egitto, Nicaragua e Messico, luoghi bellissimi dalla cultura affascinante e millenaria. Grazie a queste formative esperienze di vita, Chiara ha avuto modo di entrare a contatto diretto con i loro usi e costumi. Questo le ha consentito di appassionarsi sempre più non solo all’aspetto Archeologico ma anche a quello Antropologico. Chiara pensa che l’interazione e l’approccio stretto tra culture è molto importante per comprendere a pieno lo stile di vita, il pensiero, la lingua, la scrittura e tutto quello che concerne lo sviluppo di una determinata civiltà.

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