Nel panorama del graphic novel, Vincenzo Filosa emerge come un narratore audace, capace di fondere l’intensità del realismo giapponese con un’introspezione disarmante. Il suo ultimo lavoro, “Il Saraceno”, si erge come una testimonianza unica di un percorso artistico e personale, riflettendo una maestria che spazia dal gekiga giapponese ai mondi interiori più oscuri e complessi.
Il gekiga, quel ramo del fumetto giapponese noto per la sua rappresentazione cruda e realistica della vita, ha trovato in Filosa un interprete che non solo lo comprende, ma lo rinnova. Filosa, da sempre appassionato traduttore e divulgatore di maestri come Jirô Taniguchi e Shigeru Mizuki, ha saputo mettere in luce le sfumature più sottili di questo genere, portandolo in Italia con una precisione e un rispetto che solo chi conosce profondamente l’arte del fumetto può ottenere. Ma il vero capolavoro di Filosa non è solo la sua conoscenza del gekiga, bensì la sua capacità di adattare e rielaborare queste influenze attraverso una lente intimistica e personale.
In “Il Saraceno”, l’autore racconta la storia di Italo Filone, un quarantenne fumettista milanese, il quale, intrappolato tra le sue ferite e le sue aspirazioni, combatte una battaglia interiore che sembra non avere fine. Il personaggio di Italo, con il suo carico di dipendenze e disfunzioni, rappresenta una figura densa e complessa, costretta a confrontarsi con il proprio passato e le sue scelte. Il viaggio di Italo non è solo una discesa nei meandri della sua anima, ma un’esplorazione del suo rapporto con il padre, una figura ingombrante e implacabile, simbolo di tutte le aspettative e i conflitti familiari non risolti.
Le tavole di “Il Saraceno” sono attraversate da una narrazione che sfida la linearità tradizionale, con capitoli brevi e frammentati che tessono una trama non convenzionale. Questo approccio riflette il caos e l’ordinarietà della vita di Italo, un’esistenza segnata da scontri personali e professionali, da lotte interne e conflitti esterni. Filosa non risparmia nulla al lettore, offrendo una panoramica cruda e autentica delle sue ossessioni, delle sue debolezze e dei suoi sforzi per trovare un equilibrio tra essere padre, rimanere sobrio e continuare a fare fumetti. È un’opera che si confronta con la realtà in maniera spietata, ma anche con una dolcezza malinconica che riesce a toccare le corde più intime del lettore.
La scrittura di Filosa è vivace e autoironica, capace di illuminare le contraddizioni e le debolezze del protagonista con una lucidità che è al contempo chirurgica e empatica. Questo libro, con il suo stile che può ricordare tanto il manga d’autore degli anni Settanta quanto la forza visiva di Andrea Pazienza, segna un passo importante nella carriera di Filosa. “Il Saraceno” rappresenta il culmine di un percorso narrativo che è iniziato con “Figlio unico” e che continua a esplorare temi simili con una maturità e una solidità crescenti.
Il confronto con la figura paterna, reso con una sottile violenza e una compassione palpabile, è il cuore pulsante del libro. Filosa riesce a confrontarsi con il proprio passato in modo che, sebbene spietato, non manca mai di una certa comprensione. La sua onestà disarmante è ciò che rende il racconto così potente; egli rivisita e condivide momenti del passato con una sincerità che trascende la mera esposizione di esperienze personali, trasformandoli in un’esperienza universale di crescita e lotta. Vincenzo Filosa con “Il Saraceno” ha non solo proseguito la sua esplorazione dell’universo del fumetto, ma ha anche tracciato una rotta originale e personale che potrebbe essere vista come un nuovo punto di riferimento nel panorama della narrativa a fumetti. Con la promessa di ulteriori sviluppi e continuazioni della sua opera, l’attesa per il prossimo capitolo del suo viaggio è carica di aspettative e curiosità.
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