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I Pozzi della Morte

In epoca medioevale macchine e strumenti di tortura ebbero grande fortuna e diffusione. In una società pervasa da superstizioni di ogni sorta, per garantire l’ordine e la disciplina, le prigioni e le camere destinate a torturare i prigionieri divennero leggendarie, ed ogni castello che si rispettasse, anche il più piccolo, ne era dotato. La dorsale appenninica emiliano-romagnola fu interessata in modo massiccio e diffuso dal fenomeno detto dell’incastellamento. Per ragioni logistiche e per meglio garantirne la difesa, molti monti e colline furono deputati a luoghi ideali per edificare rocche, manieri, fortilizi, più o meno grandi castelli, destinati a resistere al tempo oltre che ai molti nemici, tanto da giungere sino ai giorni nostri.

Al loro interno, come già detto, spesso le cantine o gli ambienti sotterranei celavano le insalubri e umide segrete, destinate ad ospitare i prigionieri. Negli stessi ambienti capitava di sovente che vi venissero collocate le più disparate “macchine” utilizzate per infliggere le più atroci torture e sevizie, utili per estorcere confessioni come per dispensare le più clamorose punizioni corporali. Tra questi marchingegni, tra gli altri, si affermò un po’ ovunque l’abitudine di costruire trabocchetti o botole che si aprivano sopra a delle cavità più o meno profonde terminanti in ambienti senza uscita e ricoperte di lame, rasoi, corpi contundenti acuminati.

Precipitare in questi anfratti comportava una morte terribile quanto certa, il più delle volte per dissanguamento tra sofferenze prolungate ed interminabili, con arti e costole fratturatisi nella caduta e il corpo martoriato dalle ferite da taglio.

Leggende si rincorrono un po’ ovunque e numerose sono le testimonianze tramandate a proposito di questi “pozzi a rasoi” o “pozzi del taglio”. Limitando la nostra indagine all’Emilia Romagna abbiamo individuato tre castelli dove questi pozzi della morte sono stati perfettamente conservati ed è possibile visitarli. Spostandoci da Ovest verso Est il primo è collocato nello svettante e caratteristico torresino del Castello di Rivalta. Per giungere alla botola che si apre sul pozzo molto profondo, i condannati erano costretti a salire una angusta scala a chiocciola, e percorrendola ci si può immaginare lo stato d’animo di quegli sventurati. Nel piacentino vi sono tracce di altri “pozzi con le lame” anche nel castello di Zena a Carpaneto, nella torre Farnese di Bettola, nel castello Malaspina di Bobbio, nella torre del palazzo gentilizio dei Malvicini Fontana a Vicobarone, oggi residenza privata ed agriturismo. Spostandoci nel bolognese, nella rocca di Dozza è stato trovato e recuperato durante le opere di ristrutturazione degli anni 70 un profondo “pozzo rasoio”, antico trabocchetto di difesa militare interna, oltre che strumento di pena per i colpevoli, o presunti tali, di crimini contro l’ordine costituito.

Più a sud, nel castello di Gradara, reso immortale dalle gesta di Paolo e Francesca cantate da Dante, ( Inferno Canto V 100-107) nel cunicolo fortemente inclinato che mette in comunicazione la Sala del Tribunale con la Stanza della tortura, sono tutt’ora visibili le lame di un altro terribile pozzo, concepito per inghiottire per sempre i malcapitati costretti a percorrerlo in un viaggio di sola andata. In Romagna, la leggenda afferma che nella parte alta della Fortezza di Castrocaro (il cosiddetto Girone) ci sia un pozzo-trappola, nel quale venivano precipitati gli amanti scomodi di Caterina Sforza, la battagliera e sensuale contessa di Forlì e di Imola, unitasi in terze nozze con Giovanni de’Medici, detto “il Popolano”, cugino di Lorenzo il Magnifico. Da quel matrimonio segreto, celebrato a Castrocaro, forse proprio nella Fortezza, nacque il celebre Giovanni dalle Bande Nere, padre del primo Granduca di Toscana, il famoso Cosimo I de’Medici.

Il pozzo, assai profondo, esiste davvero, ma è ingombro di macerie. Un documento dell’epoca ne attesta la profondità in 95 braccia fiorentine, pari a 55 metri! Cosa ci sia in fondo al pozzo, però, rimane un mistero avvolto nella leggenda.

Nicolas Rigamonti

Fonte: Article-Marketing.it

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