Le Harajuku Girls sono ragazze “creative”, spesso confuse con cosplayer, originariamente presenti nell’omonimo quartiere di Tokyo. Queste giovani giapponesi si ritrovano per dare sfoggio alla creatività del loro modo di vestire: la particolarità di questa tribù metropolitana è quella di indossare abiti tradizionali giapponesi (kimono da samurai o da geisha) mescolati con moderni capi di marca, vestiti da anime e manga, vestiti kitsch, sgargianti, gotici e punk e con divise scolastiche. Il fenomeno è ormai diventato una vera moda in Giappone.
Dopo essere stato ufficialmente storicizzato dalle Bambole Kokeshi di Oliviero Toscani, dalla mostra fotografica che il Powerhouse Museum ha dedicato a Shoichi Aoki, e a una fortunata tournée di Gwen Stefani, ex No Doubt, lo street style di Tokyo è esploso in tutto il mondo come un nuovo fenomeno di costume, che ruota sempre più intorno alle Harajuku Girls. Queste ragazze in maschera tradiscono il concetto tradizionale giapponese di bellezza. Spezzano il cordone ombelicale col postmoderno per risolversi in un modello di pura avanguardia.
Il loro è un approccio creativo alla moda che unisce elementi del folklore nipponico con accessori di recupero, scippati alla subcultura contemporanea. Streghette del nuovo millennio, hanno come denominatore comune l’eccesso, ma da brave Gothic Lolita non rinunciano ai loro riferimenti generazionali, da Sailor Moon a Hallo Kitty. Le Harajuku Girls nascono e si esibiscono sul ponte che divide lo Yoyoji Park dalla pedonale Takeshita Dori, appena fuori dalla stazione della metro, a due passi da Shibuya, il Greenwich Village giapponese. Uscite da scuola, le ragazze corrono qui per mangiare e addentrarsi nel Ready Made di Hiroshi Fujiwara, ex DJ e giornalista di moda, in cerca di qualcosa di economico da comprare o da copiare. Siamo in uno dei più caldi focolai della capitale, un concentrato a forte densità di rampolli della Tokyo bene, ma anche un incontrastato dominio di teenagers di sobborghi come Saitama e Chiba, che hanno scelto come loro palco la strada, inondata di J-Pop e di rock vintage.
Infatti Harajuku è il nome comune della zona circostante l’omonima stazione universalmente nota per essere una fucina di stili di strada e di tendenze giovanili estremamente innovative. La zona ha due principali strade dello shopping, Takeshita ed Omotesandō. La prima è dedicata alle mode giovanili e presenta soprattutto piccoli negozi che vendono articoli di abbigliamento ed accessori di stile lolita, visual kei, rockabilly, punk e cyberpunk, unitamente a innumerevoli punti di ristorazione veloce. La seconda invece ha assistito, dalla fine degli anni novanta, ad un incremento di negozi costosi come Louis Vuitton, Chanel, Prada, Tod’s ed altri, tanto che al viale di Omotesandō è frequente riferirsi come agli “Champs-Élysées di Tokyo”. Fino al 2004, un lato della strada era occupato dalla Dōjunkai Aoyama Apartments, un complesso di appartamenti in stile Bauhaus costruito nel 1927 dopo il grande terremoto di Kantō del 1923; nel 2006 questi edifici sono stati distrutti, non senza polemiche, dalla Mori Building e rimpiazzati dal centro commerciale Omotesandō Hills, progettato da Tadao Andō. La zona conosciuta come Ura-Hara è il centro della moda giovanile più commerciale; vi si trovano molti megastore, anche monomarca, come A Bathing Ape e Undercover.
Uno sviluppo contemporaneo delle sottoculture proprie di Harajuku è la corrente musicale visual kei, che è nata verso la fine degli anni ottanta accomunando gruppi musicali di vario genere legati da una dimensione estetica considerata paritetica a quella musicale. Anche chi segue la musica visual kei trova nell’area di Harajuku il luogo ottimale per la propria espressione, in particolare sul Jingu Bashi (“ponte del santuario”), un ponte pedonale che collega il centro di Harajuku con il Santuario Meiji. Anche fra i fan del visual kei è diffusa la pratica del cosplay, in riferimento però agli idoli musicali. Negli anni ottanta una moltitudine di artisti di strada e di adolescenti vestiti secondo fogge bizzarre o selvagge, fra i quali i takenoko-zoku, presero a radunarsi di domenica in Omotesandō e nelle strade che attraversano il parco di Yoyogi. Al tempo le strade, di domenica, erano chiuse al traffico. Negli anni novanta vennero allentati i limiti alla circolazione veicolare e molti di essi cessarono i loro raduni. Oggi molti ragazzi continuano ad uscire e passeggiare per Harajuku, prevalentemente sul Jingu Bashi.
È proprio qui che ragazze senza età hanno rubato la scena alle ormai dimenticate ganguro, mix insolito di brand occidentali e fondotinta scuro, grazie al quale si trasfiguravano in autentici demoni tradizionali giapponesi.
Come abbiamo accennato, le Harajuku Girls conosciute dai più sono un gruppo di quattro performer giapponesi che nel 2004 sono state assunte come ballerine per la cantante Gwen Stefani, e sono apparse praticamente in tutti i suoi video, concerti e apparizioni pubbliche, diventando quasi un marchio per la cantante. Due delle ragazze, in precedenza avevano lavorato per la cantante giapponese Namie Amuro. La presentatrice americana Margaret Cho ha criticato le Harajuku Girls definendole “uno stereotipo della donna asiatica”. Le harajuku sono solo un esempio di tribù dello stile di cui il Giappone pullula. Esistono moltissime sottoculture spettacolari in Giappone; sottoculture che cambiano in continuazione codice vestimentario.
Le Harajuku Girls sono le nuove icone di un glam sexaholic, e le loro esibizioni colmano il divario tra la staticità dell’arte visiva e la mobilità della performance. Infatti, tra accessori punk e riproduzioni degli abiti di scena delle aidoru del momento, ornate di pizzi neri vittoriani contrastati da calzettoni fluorescenti, cantano, recitano, ma soprattutto posano per gli scatti curiosi dei turisti, quasi fossero cosplay di un nuovo manga di successo. Trasgressive e bad girls per definizione, ragazze così soccomberebbero solo sotto i tacchi di una Ferragamo. Ma ogni cattiva intenzione svanisce quando cala il sipario della sera: trasformati i gabinetti della metropolitana nei loro camerini, le Harajuku girls si tolgono le parrucche colorate e abbandonano nei trolley le loro fragorose attrezzature, i vestiti gotici e la loro doppia identità. E così, con la faccia di nuovo pulita, tornano a casa.
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