Nel mondo frenetico dell’era digitale, dove l’informazione viaggia alla velocità della luce e l’attenzione è merce rara, nasce lo slacktivism: l’attivismo da poltrona. Condividere un post, firmare una petizione online o cambiare la propria immagine del profilo sui social network per sostenere una causa. Gesti semplici, spesso impulsivi, che richiedono pochi minuti e che, secondo alcuni, rischiano di svuotare di significato l’impegno sociale e politico.
Ma lo slacktivism è davvero solo un click inutile?
Dietro questa semplicità si nasconde un potenziale rivoluzionario: la capacità di mobilitare masse di persone in tempi rapidissimi e con costi minimi. Una petizione online può raccogliere in poche ore migliaia di firme, un hashtag può diventare virale in pochi istanti, sensibilizzando l’opinione pubblica su temi importanti.
Lo slacktivism è come la benzina che accende la scintilla del cambiamento.
Non sostituisce l’attivismo “tradizionale”, fatto di proteste, manifestazioni e impegno concreto, ma lo amplifica, lo rende più accessibile e coinvolgente per un pubblico più ampio, soprattutto per le nuove generazioni.
Certo, lo slacktivism ha i suoi limiti.
Un click non basta a risolvere i problemi del mondo. Ma può essere un primo passo, un modo per iniziare a riflettere, a informarsi e a prendere coscienza di tematiche sociali e politiche. Può essere lo stimolo per approfondire, per impegnarsi in modo più concreto, per scendere in piazza o per donare a un’organizzazione benefica.
Lo slacktivism non è un nemico, ma un alleato.
Un alleato che va usato con consapevolezza, scegliendo con cura le cause da sostenere e verificando le informazioni condivise. Un alleato che può aiutarci a costruire un mondo migliore, un click alla volta.
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