La recente scoperta della parte superiore della statua del faraone Ramses II, dopo quasi cento anni dal ritrovamento della parte inferiore, rappresenta un importante passo avanti nell’ambito dell’archeologia egiziana. Questo avvenimento conferma come l’archeologia non sia affatto una disciplina desueta, bensì sempre più viva grazie alle tecnologie moderne che permettono di effettuare analisi sempre più approfondite e dettagliate.
La statua di Ramses II, scoperta per la prima volta nel 1930 da Gunther Roeder ma incompleta, è stata recentemente completata grazie alla scoperta di un blocco di 3,8 metri contenente la parte superiore del torso e il volto del sovrano. La statua, che potrebbe raggiungere un’altezza di più di sette metri una volta unita alla parte inferiore, presenta sfumature di colore rosso, marrone, beige e bianco dovute alla composizione del materiale utilizzato.
Gli archeologi, utilizzando tecniche digitali per unire le due parti della statua in maniera virtuale, stanno cercando di individuare l’aspetto finale dell’opera senza comprometterne la qualità. Questo reperto è di particolare importanza anche perché è stato rinvenuto durante le ricerche di un tempio e di un centro religioso ad El Ashmunein, anticamente conosciuta come Khemmu, dimostrando ancora una volta quanto possa essere sorprendente e inaspettata la scoperta di reperti archeologici.
La collaborazione tra archeologi egiziani e statunitensi, guidata da Basem Gehad del Ministero egiziano e da Yvona Trnka-Amrhein dell’Università del Colorado, è un altro esempio di come la ricerca archeologica possa portare alla luce nuove scoperte e stimolare ulteriori studi e ricerche nel campo della storia antica.
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