Giovanna Pedretti, la titolare della pizzeria “Le Vignole” di Sant’Angelo Lodigiano, in provincia di Lodi, è stata trovata morta domenica 14 gennaio 2024 sulle rive del fiume Lambro. L’ipotesi più accreditata è quella del suicidio, probabilmente causato dalla pressione e dalle critiche ricevute sui social network dopo essere stata accusata di aver pubblicato un post probabilmente fake.
La donna era diventata famosa per aver postato una risposta a una recensione negativa lasciata da un cliente sul suo locale, che si lamentava di aver mangiato accanto a una coppia omosessuale e a un ragazzo in carrozzina.
“Mi hanno messo a mangiare di fianco a dei gay. Non mi sono accorto subito perché sono stati composti, e il ragazzo in carrozzina mangiava con difficoltà. Mi spiaceva ma non mi sono sentito a mio agio. Peccato perché la pizza era eccellente e il dolce ottimo , ma non andrò più”.
La recensione, che risaliva alla scorsa estate, era stata poi cancellata, ma Giovanna aveva dichiarato di averne fatto uno screenshot e dunque l’aveva ripubblicata sulla pagina Facebook della sua pizzeria, insieme alla sua replica.
“Il nostro locale è aperto a tutti e i requisiti che chiediamo ai nostri ospiti sono l’educazione e il rispetto verso ognuno. Le sue parole di disprezzo verso ospiti che non mi sembra vi abbiano importunato mi sembrano una cattiveria gratuita e alquanto sgradevole”. E poi l’invito definitivo: “A fronte di queste bassezze umane e di pessimo gusto… credo che il nostro locale non faccia per lei. Non selezioniamo i nostri clienti in base all’orientamento sessuale e men che meno la disabilità. Le chiedo gentilmente di non tornare da noi a meno che non ritrovi in sé i requisiti umani che nel suo atteggiamento sono mancati”.
La risposta di Giovanna aveva suscitato inizialmente molti consensi e apprezzamenti, anche da parte di personalità politiche e del mondo dello spettacolo. Tuttavia, non tutti avevano creduto alla veridicità della recensione e della risposta. Alcuni utenti dei social network avevano insinuato che si trattasse di una bufala o di una mossa pubblicitaria, per attirare l’attenzione e la simpatia del pubblico. Alcuni noti influncer italiani, investigatori antelitteram per smascherare la bufala, avvrebbero anche trovato sul web recensioni con testi analoghi postate però nei profili di altri esercizi commerciali. In ogni modo, queste accuse hanno messo in difficoltà Giovanna, che aveva iniziato una strenua difesa, negando di aver inventato la recensione, ma ammettendo al contempo di non avere una risposta certa sulla sua autenticità.
Queste parole avevano scatenato ulteriori dubbi e critiche, che forse hanno spinto la donna a compiere il gesto estremo. Il suo corpo è stato trovato senza vita sulle rive del Lambro, vicino al ponte di Sant’Angelo Lodigiano, dove si era recata con la sua auto.
La storia della signora Pedretti mi ha colpito moltissimo, soprattutto perché si inserisce in maniera tragica in un dibattito costante sulla potenza creativa e distruttiva della rete. Come anticipato nel titolo di questo articolo, l’accadimento tragico della morte della ristoratrice non può e non deve essere classificata come un caso di suicidio: si tratta invece di un vero e proprio omicidio. Un caso difficile che ha molti indiziati, ognuno con il proprio movente e ognuno con la propria arma del delitto.
- Il primo indiziato è da cercarsi proprio nell’ambito familiare della donna: il genio che le ha consigliato (potrebbe essere essa stessa ma non lo sappiamo) di creare questo post fake e, non contento, lo ha realizzato non creando una “storia originale” ma copiando e modificando una recensione riferita ad un altro esercizio commerciale. Non pago ha realizzato una grafica fasulla posticcia e palesemente falsa, facilmente criticabile sui social. Il movente? Sicuramente aiutare la comunicazione della pizzeria, l’Arma del delitto? L’ingenuità: una pericolosa arma insita nell’inquisito che non lo ha fatto riflettere abbastanza sui possibili sviluppi della sua azione che è stata perpetrata senza neanche pensare che tale azione avrebbe avuto una rilevanza così vasta sul web.
- Il secondo possibile colpevole è da ricercarsi nei sedicenti giornalisti, che hanno rilanciato la notizia di questo “recensione offensiva” e della presunta arguta risposta della donna senza neanche un minimo verificare la prova del delitto, lo “screenshot” che a occhi di chiunque è palesemente fake! Il movente in questo caso va ricercato nella spasmodica richiesta dei giornali di news e sul tentativo costante di “essere sul pezzo” anche a scapito dell’accuratezza dell’informazione. Le armi del delitto in questo caso sono due: “control+c” e “control+v”. Si perché nel giornalismo ormai non esiste più la ricerca della notizia ma una fame malefica esclusivamente volta a riportare le notizie altrui, con titoli altisonanti per raccimolare un po’ di lettori! Forse spinti dal timore che, presto, l’intelligenza artificiale possa sovrascrivere totalmente questo mestieri, questi giornalieri sono spinti sempre più spesso dall’idea maliziosa e letale che: “se l’ha scritto quello sarà sicuramente vero“.
- Il terzo colpevole sarebbe invece da ricercare nella galassia dei vip e degli influencer che si sono mossi sin da subito come paladini di questo accadimento. Prima esaltando il gesto eroico della ristoratrice a difesa dei deboli e degli oppressi, poi come vigilantes, giudici ed esecutori di una condanna, tanti “Giudici Dredd” del web e dei format TV. L’arma del delitto, in questo caso, è una “camera”, che sia tele o che sia foto. Il dover apparire, dire la propria, commentare, condividere, condannare senza prima valutare la situazione in modo attento. Il movente è estremamente semplice: sfruttare una notizia per essere sempre al centro dell’attenzione, per ingolosire nuovi follower, per ingigantire il proprio ego (e i propri introiti).
- Il quarto colpevole sono semplicemente io, oppure tu, forse meglio dire noi! Siamo tutti noi che usiamo in maniera impropria gli strumenti web, che siamo soliti ad utilizzarli per il nostro tornaconto personale (chi non ha mai scritto una recensione “creativa”, vuoi per disprezzo o vuoi per aiutare qualcuno, scagli la prima pietra!). Noi che siamo nascosti dalla luce dei monitor che illuminano le nostre dita danzanti odiose sulle tastiere. Noi che ci limitiamo a leggere i titoli “clickbait” piuttosto che approfondire le notizie. Noi che viviamo le vite degli altri dimenticando le colpe insite nel nostro animo umano. L’arma del delitto sono le nostre dite, che non sanno riflettere più di dieci secondi prima di muoversi sinuose nel deliberare sentenze. Il movente? tanti quanto un intero manuale di sociologia della comunicazione!
Non potendo decretare in questa sede il “colpevole” reale di questo caso di omicidio, quel che è certo, purtroppo è che Giovanna lascia la figlia e il marito Nello, pizzaiolo e partner anche a lavoro da oltre 30 anni.
Questo episodio ci mostra come i social network possano diventare una fonte di disinformazione, di manipolazione, di violenza e di odio, che può avere conseguenze fatali sulla vita delle persone.
I contenuti fake, cioè falsi o ingannevoli, sono una minaccia per la verità, la trasparenza e la responsabilità, e possono violare i diritti e la dignità delle persone. Chi produce o diffonde contenuti fake può essere mosso da vari motivi, come il guadagno, l’approvazione, l’emozione, la propaganda o il sabotaggio. Il sentirsi “scoperti” può provare sentimenti di colpa, di vergogna, di conflitto, di paura, di rabbia o di impotenza. In alcuni casi, questi sentimenti possono portare a contemplare o a compiere il suicidio, come forse è accaduto a Giovanna Pedretti.
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