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La miracolosa pianta del Silfio per i Romani

Il silfio, noto anche come silphion, laser o laserpicio, è una pianta leggendaria, una meraviglia botanica ormai estinta che ha lasciato una traccia profonda nella storia, nella cucina e nella medicina dell’antichità. Appartenente probabilmente al genere Ferula e parte della famiglia delle Apiaceae, il silfio cresceva esclusivamente in una ristretta area costiera della Cirenaica, nell’attuale Libia. Questa zona, che si estendeva per circa 200 chilometri lungo il litorale e 60 chilometri nell’entroterra, divenne famosa in tutto il Mediterraneo per la produzione di questa pianta, considerata così preziosa da essere utilizzata come merce di scambio e simbolo di prosperità economica.

Il silfio era descritto dai suoi contemporanei come una sorta di “finocchio gigante”, ma le sue proprietà andavano ben oltre quelle di un semplice ortaggio. Gli antichi Greci, Romani ed Egizi ne esaltavano le virtù terapeutiche e culinarie. Tra i primi a documentare le sue caratteristiche c’è Plinio il Vecchio, lo scrittore e naturalista romano che, nella sua Naturalis Historia , esalta il valore inestimabile del silfio: “Il succo, detto lasere , è di grande importanza per l’uso quotidiano e per la preparazione di medicinali: lo si vende al prezzo dell’argento.” Già nel I secolo dC, tuttavia, la pianta era così rara che Plinio racconta come l’ultimo esemplare conosciuto fosse stato offerto in dono all’imperatore Nerone, segno di quanto la sua raccolta intensiva ne avesse già compromesso la sopravvivenza.

Il motivo di questa estinzione precoce risiede in gran parte nella cupidigia dell’uomo. La pianta, particolarmente difficile da coltivare, cresceva solo allo stato ambientale selvatico e richiedeva condizioni molto specifiche, difficili da replicare altrove. Inoltre, l’aumento della domanda e la raccolta indiscriminata resero il suo sfruttamento insostenibile. Il silfio era infatti ampiamente utilizzato in vari ambiti, dalla medicina alla gastronomia, ed era così richiesto che divenne il simbolo della città di Cirene, al punto che le sue monete riportavano l’immagine della pianta come emblema di prosperità.

La resina estratta dal silfio, chiamata laserpicium o lasere , era considerata una vera panacea. Essa veniva utilizzata per curare una vasta gamma di disturbi: dal mal di gola alla febbre, dai dolori articolari all’indigestione. Tuttavia, il suo impiego più sorprendente era forse quello come contraccettivo. Plinio il Vecchio riporta che il silfio veniva somministrato alle donne per indurre le mestruazioni e, in dosi abbondanti, preveniva la gravidanza. Questa proprietà potrebbe essere legata al fatto che molte piante appartenenti alla famiglia delle Apiaceae, come la carota selvatica, possiedono composti in grado di influire sull’attività ormonale, con effetti potenzialmente abortivi.

Nonostante il suo valore medicinale, il silfio trovava ampio spazio anche nella cucina greco-romana. Apicio, celebre gastronomo dell’epoca, ne menziona l’uso in molte ricette, soprattutto per insaporire carni e verdure. Pare che avesse un gusto particolarmente pungente, simile all’aglio, ma una volta cotto rilasciava un aroma più delicato, rendendolo un ingrediente essenziale per molte preparazioni culinarie dell’epoca. Paradossalmente, però, fu proprio l’alimentazione animale a giocare un ruolo chiave nella sua scomparsa: si racconta che i pastori lasciassero i loro greggi pascolare liberamente nei campi di silfio, convinti che il bestiame, nutrendosene, producesse una carne dal sapore più prelibato. Questo eccessivo sfruttamento del territorio, unito alla raccolta intensiva della resina per scopi commerciali e medici, condannò il silfio all’estinzione.

Il mito e la leggenda hanno circondato questa pianta per secoli. Secondo una credenza, il silfio sarebbe stato un dono del dio Apollo alla città di Cirene. Alcuni studiosi moderni, affascinati da questo vegetale perduto, hanno persino ipotizzato che il tradizionale simbolo del cuore (♥) derivi dalla forma dei semi della pianta, un altro esempio di come il silfio abbia permeato l’immaginario collettivo.

Dopo la sua scomparsa, numerosi tentativi sono stati fatti per identificarlo con altre specie vegetali ancora esistenti. Alcuni lo hanno confuso con la Ferula assafoetida , una pianta dall’odore pungente utilizzata nella cucina mediorientale, mentre più recentemente si è ipotizzato che il silfio possa essere identificato con la Ferula drudeana , una rara specie endemica della Cappadocia, riscoperta nel XX secolo. Tuttavia, non vi sono prove definitive che questa pianta sia effettivamente il leggendario silfio della Cirenaica.

Oggi, la storia del silfio rimane un monitoraggio sull’importanza della conservazione ambientale e delle risorse naturali. La sua estinzione, avvenuta per mano dell’uomo, ci ricorda come la cupidigia e l’incapacità di gestire in modo sostenibile le risorse possono condurre alla perdita irreparabile di specie fondamentali non solo per l’ambiente, ma anche per la cultura e la medicina . Il silfio, pianta dal valore incalcolabile per gli antichi, resta una delle prime vittime documentate dell’eccessiva pressione umana sull’ecosistema, e la sua storia ci invita a riflettere sulle scelte che facciamo ancora oggi per preservare la biodiversità del nostro pianeta.

Redazione

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