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La Quaresima nella Roma dei Papi

La Quaresima è il periodo penitenziale di quaranta giorni che precede e prepara la Pasqua; inizia con il “Mercoledì delle Ceneri” e si prolunga per quasi sei settimane terminando il Giovedì Santo, quando inizia il Triduo Pasquale.

La campana sona a merluzzo”: questo detto popolare commentava il suono delle campane che annunciava le funzioni religiose all’inizio del periodo quaresimale, improntato, ad un rigido regime di astinenza dalle carni per tutti i quaranta giorni. Nella Roma papalina il compito di richiamare i fedeli ai loro doveri era affidato ai predicatori quaresimali, che a volte non esitavano a terrorizzare i mancati penitenti minacciando castighi divini e tormenti infernali, anche se non mancarono religiosi come S. Paolo della Croce e S. Leonardo di Porto Maurizio dotati di eloquenza autenticamente ispirata dalla fede.

Specie negli ultimi giorni, era d’uso che ogni pomeriggio, fino all’Ave Maria, tutti i bottegai, osti, fruttaroli, tabaccai tenessero chiuse le loro botteghe, per partecipare insieme agli altri cittadini all’ascolto delle infervorate e ammonitrici prediche, dette “Missioni” proprio perché tenute da frati missionari.

La principale restrizione quaresimale, il divieto di consumare carni, era imposta con estremo rigore, tanto che si ricordano casi di macellai romani condannati alla galera per aver messo in vendita i loro prodotti nel periodo di penitenza.

“In quaresima pe’ ddivuzzione…se magneno li maritozzi, anzi c’è cchi è ttanto divoto pe’ mmagnalli, che a ccapo ar giorno se ne strozza nun se sa quanti”.

Così, con la sua ironica vivacità Giggi Zanazzo, le cui opere sono un prezioso strumento per chi vuole conoscere le tradizioni della Roma del secolo scorso, commentava l’usanza quaresimale “der santo maritozzo“, dolce allora molto amato, che il primo venerdì di marzo, una sorta di giorno di S. Valentino dell’epoca, veniva anche donato dai giovani alla propria innamorata.

Per alcuni secoli le autorità pontificie emanarono annualmente provvedimenti volti a disciplinare il digiuno quaresimale. Uova, formaggio e carne erano consentiti soltanto per anziani e malati, previo permesso scritto. Medici e parrocchiani venivano ammoniti: coloro avessero sottoscritto questi permessi senza legittima causa oltre al farsi carico dei peccati altrui, sarebbero stati anche puniti dall’autorità. Gli avvertimenti restavano però spesso inascoltati: a volte bastava allungare qualche soldo al parroco per ottenere la dispensa; mentre a coloro che volevano invece essere ligi alle regole non restavano che ceci e baccalà… fortunatamente però c’erano i maritozzi con cui consolarsi!

A Roma sopravvisse a lungo l’abitudine di “spezzare la Quaresima”, con la festa del “segare la vecchia” che si celebrava a Campo Vaccino nel Foro Romano. Qui un enorme fantoccio ripieno di fichi, arance, frutta secca e dolci quaresimali veniva squartato ed il contenuto diveniva preda degli spettatori che facevano a gara, spesso anche con metodi cruenti, per appropriarsene.

di Annarita Sanna

Redazione

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