L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. fu una delle più catastrofiche della storia, che seppellì sotto una coltre di ceneri e lapilli le città di Pompei, Ercolano e Stabia. Tra le testimonianze più impressionanti di quella tragedia, ci sono le figure umane che sembrano pietrificate nella loro ultima espressione di vita. Ma cosa sono realmente questi reperti? Come sono stati realizzati e conservati? Qual è il loro valore storico e artistico?
In realtà, le figure umane che vediamo nei musei e nelle mostre non sono i corpi originali delle vittime, ma dei calchi in gesso o in resina delle loro spoglie. Questi calchi sono stati ottenuti grazie a una geniale intuizione di Giuseppe Fiorelli, uno dei più importanti archeologi che operarono a Pompei nell’Ottocento. Fiorelli fu il primo direttore ad aprire al pubblico il sito archeologico nel 1861 e a introdurre un metodo scientifico e sistematico negli scavi. Fu lui a inventare la tecnica dei calchi, che consisteva nel versare una miscela di gesso e acqua nei vuoti lasciati dalla decomposizione dei corpi nella cenere solidificata. In questo modo, si poteva ricreare la forma esatta dei corpi, con i loro vestiti, i loro oggetti personali e le loro espressioni.
Fiorelli perfezionò questa tecnica nel 1863, quando riuscì a ottenere il calco di quattro persone trovate in una casa di Pompei. Da allora, furono realizzati poco più di un centinaio di calchi, che furono esposti nel primo “Museo Pompeiano” allestito da Fiorelli nel 1873-1874. I visitatori potevano così ammirare da vicino le immagini autentiche della catastrofe vesuviana, come scrisse Gaetano De Petra, uno dei successori di Fiorelli:
“La più fortunata delle sue invenzioni fu la immagine autentica che diede della catastrofe vesuviana, colando nel masso di cenere che copriva gli scheletri il gesso liquido, per cui questi rivivono nelle forme e nelle contrazioni della loro agonia”.
I calchi delle vittime dell’eruzione sono stati ritrovati in diverse zone di Pompei, a testimonianza delle diverse fasi dell’evento vulcanico e delle diverse reazioni degli abitanti. Alcuni cercarono di fuggire dalla città, altri si rifugiarono nelle case o nei luoghi pubblici, altri ancora si abbandonarono al destino. Tra i calchi più famosi, ci sono quelli dell’Orto dei Fuggiaschi, dove furono trovati tredici corpi in una vigna vicino alle mura della città. Queste persone erano probabilmente fuggite dalla città durante la prima fase eruttiva, quando una pioggia di pomici e lapilli aveva invaso gli ambienti e causato crolli. Di queste vittime, furono ritrovati solo gli scheletri, perché i loro corpi non furono coperti da un materiale sufficientemente compatto da lasciare un’impronta.
Successivamente, un flusso piroclastico altamente caldo e veloce investì Pompei, riempiendo gli spazi non ancora occupati dai materiali vulcanici e uccidendo istantaneamente per shock termico chi era ancora in città. I corpi di queste vittime rimasero nella posizione in cui erano stati colpiti dal flusso piroclastico e il materiale cineritico solidificatosi ne conservò l’impronta dopo la decomposizione. Questi sono i casi in cui è stato possibile realizzare i calchi con il metodo di Fiorelli (sigillando, in alcuni casi, i resti organici ancora presenti).
I calchi delle vittime dell’eruzione non sono solo reperti archeologici, ma anche opere d’arte che hanno ispirato poeti e artisti di ogni epoca. Tra i più noti, possiamo citare Primo Levi, che dedicò una poesia alla “Bambina di Pompei”, un calco di una bambina abbracciata alla madre, e Roberto Rossellini, che inserì una scena dedicata alla scoperta di alcuni calchi nel suo film “Viaggio in Italia” .
Purtroppo, molti dei calchi esposti a Pompei furono distrutti o gravemente danneggiati dai bombardamenti del 1943, durante la seconda guerra mondiale. Tuttavia, grazie al paziente lavoro di Amedeo Maiuri e dei suoi collaboratori, alcuni calchi furono parzialmente recuperati e restaurati. I calchi sopravvissuti agli eventi bellici non trovarono posto nel nuovo Antiquarium inaugurato nel 1948, ma furono conservati in depositi o in vetrine. Nel contesto del Grande Progetto Pompei, avviato nel 2012, è stata condotta una ricognizione che ha permesso di ritrovare calchi che si ritenevano dispersi o dimenticati ⁶. Inoltre, è stato previsto il rilievo dei calchi conservati tramite laser scanner per la realizzazione di copie tramite stampa 3D. Queste copie si aggiungono a quelle in gesso o in resina prodotte in passato e sono destinate al prestito per mostre temporanee in tutto il mondo . A Pompei, sarà curata una nuova esposizione di questi preziosissimi reperti, che ci restituiscono le immagini e le emozioni di persone che sono diventate testimonianze uniche della tragedia del 79 d.C.
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