La vita liquida, ovvero quella contemporanea, fondata esclusivamente sull’io, “si alimenta dell’insoddisfazione dell’io rispetto a sé stessi”, dando vita ad una sorta di life politics, “una politica di vita egocentrica”. E’ questa life politics a segnare la fine dell’era delle ideologie, che altro non era se non il tentativo progettuale di una «società buona». Si determina in questo modo, la contrapposizione fra una società liquida, animata da consumismo, liberismo e “liquidità” delle relazioni umane, nei suoi innumerevoli aspetti economici, affettivi e quant’altro, ed una società solida, quella dei produttori, tipica del fordismo e del secolo breve, se si amano le definizioni di comodo, ormai sepolta nei ricordi del passato.
Questa trasformazione è indagata in tutti i suoi aspetti, anche i meno visibili e scontati. Boe segnaletiche che, nel buio di un oceano notturno, delineano il disegno di possibili itinerari futuri. E fra questi segnali luminosi, il meno apparente, ma allo stesso tempo il più significativo, è la perdita di significato del concetto di eternità. Se la trascendenza cristiana animava le aspettative, collettive ed individuali, del mondo preindustriale occidentale, se l’impegno costruttivista informava la società fordista, oggi l’orizzonte si limita al presente. E ancora, se la società “solida” era animata da progettualità collettive, volte alla costruzione di un futuro declinato dualmente dall’ «homo novus» socialista e dal miraggio sviluppista del fordismo, quella liquida, basata sulla società dei consumatori, vive sulla soddisfazione dell’individuo nel presente. Il futuro è concepito solo nelle sue potenzialità paradisiache. Il nirvana che le moderne tecnologie, informatiche e non solo, offrono all’identità, intercambiabile, passibile di mutazioni infinite, che gli orizzonti della manipolazione genetica rendono praticabili, fa impallidire i progetti d’eternità ortodossi. Il paradiso islamico, popolato da decine di vergini in un eden di latte e miele, dai sapori antichi, svanisce di fronte ai sogni offerti dal mondo digitale.
consunzione del pianeta stesso. Da una parte la massa delle discariche umane, impossibilitate a “scegliere” con i consumi le loro identità, di cui peraltro vengono private, e dall’altra le nuove elités globali, ansiose di scegliere l’identità previo consumo.Un sistema mostruoso che crea a sua volta categorie sociali mostruose, ibride. Ed è l’ibridismo la pietra angolare su cui Bauman analizza la modernità. Perché l’ibrido vive e prolifera nella società liquida.
Sono le moderne elitès globali, impermobili e veloci, nello spazio e nelle culture, ad essere in primis afflitte da ibridismo. Tramontato l’assimilazionismo, tipico delle relazioni fra culture della società solida, sorge il multiculturalismo, idiosincratico rispetto a qualsiasi gerarchia. Le nuove elitès sono quindi extraculturali e agerachiche. Nel loro insieme costituiscono una cultura ibrida, “chiaramente onnivora – evasiva, di facili gusti, imparziale, ben disposta a desiderosa di assaggiare qualsiasi proposta e d’ingerire il cibo di qualsiasi cucina”.Il processo trasformativo è ormai ad uno stadio avanzato, che in ogni caso mantiene ancora quel principio culturale antropofagico a suo tempo delineato da Levi Strass. Altrimenti non potremmo vedere distributori automatici di Coca Cola sulle vette dell’Hymalaia o delle Ande, o ancora lungo il corso del Rio Grande o del Nilo.Le nuove elitès ibride definiscono le loro identità tramite la scelta. Perché l’uomo contemporaneo è un “homo eligens”: “l’uomo che sceglie, ma non che ha scelto”. Ma scegliere presuppone libertà e sicurezza di scelta, come si accennava prima. “Tutti gli uomini pensano che la causa della libertà sia dalla loro parte, ma solo chi è ricco e potente sa che lo è”. Ed è la parte esclusa da questa consapevolezza, quella costretta nelle discariche umane a non poter scegliere.Si spalancano così le porte alla mutazione ibrida, forse nella forma più tragica della modernità: il martire – eroe. Il nuovo martire fondamentalista coniuga nella sua figura due modelli: il martire, tipico delle religioni abramitiche, e l’eroe, proprio dello stato nazione.L’eroe nazionale ha goduto della massima popolarità durante l’epopea formativa dello stato nazione. I monumenti al milite ignoto eretti in tutte le principali capitali europee e non solo ne testimoniano i fasti. La sua figura però ha subito un crollo nell’immaginario collettivo con il venire meno dello stato e del suo ruolo di garante per l’identità individuale.
Questa cesura segna da una parte la fine degli eserciti nazionali fondati sulla leva, e dall’altra la fine dell’epopea eroica nazionale: “lo stato non ha più bisogno di eroi. Per i consumatori soddisfatti, tutti presi dai propri affari, va benissimo così: arrivederci e grazie…”. All’eroe nazionale è subentrata la celebrità televisiva, espressione tipica della società liquida.Sia chiaro, in questi tempi di guerre preventive di morti in battaglia non ne mancano. Viene però il sospetto che il silenzio mediatico con il quale le salme tornano a casa, come accade per i caduti americani in Iraq, sia dovuto più alla volontà di non disturbare i consumi, piuttosto che al timore dell’opinione pubblica. I morti in guerra ormai servono solo ai generali per “fregiarsi di croci sul petto”, per dirla con De André.Al contrario, per i reietti delle discariche, l’ibridazione fra il martire e l’eroe sembra l’unica soluzione per tornare a scegliere. “E’ dalle loro fila che si reclutano i terroristi di oggi: versioni mutanti, e orribilmente snaturate, dei martiri di vecchia maniera, su cui sono stati innestati simulacri, altrettanto deformi, di eroi vecchia maniera”. L’ibrido in questo caso rivendica la sua triste assonanza etimologica con la “hybris” greca, ovvero con quel misto di arroganza e noncuranza umane nemiche dell’ordine naturale, che i Greci condannavano senza appello.Osservando quindi il mondo con la lente di Bauman, si è tentati da un paragone: quello con il grande albergo di lusso, da cinque e più stelle. In ogni albergo lussuoso c’è una hall, rilucente di cromature dorate e popolata da avventori azzimati, e un retro destinato ai servizi, colmo di rifiuti e abitato da facchini in sporche divise di servizio. Questo albergo, con il passare del tempo, ospita nella hall sempre meno clienti, anche se più ricchi, e al contempo affolla sempre più i vani di servizio. Da una parte il paradiso, dall’altra l’inferno. Lo strano è che gli eleganti signori della hall non si curano minimamente dei dannati assiepati dietro le pareti, sordi ai richiami d’aiuto perché impegnati ad acquistare e forse troppo sicuri della stabilità di quelle pareti. Purtroppo per loro però i muri non sono eterni, cadono. E quando questo accade, avviene sempre in modi e tempi imprevisti, come la storia ci ha ormai abituati da secoli.
Perché una volta sottratta l’identità, preclusa la possibilità di una sua ricostituzione con i fasti del consumo, chi sta ammassato dietro quelle pareti trova risposte tragiche, facendosi magari esplodere per abbattere il muro. “Il fondamentalismo, che sceglie di tenersi strettamente aggrappato all’identità ereditata e/o attribuita, è un prodotto naturale e legittimo dell’individualizzazione imposta a livello planetario”. Una sorta di estrema risposta biografica a problemi sistemici, per dirla con Angamben, studioso letto ed apprezzato da Bauman.Questo mondo ibrido crea quindi insicurezza, a tutti i livelli, nella hall extralusso frequentata dalla nuova elitè globale, come nella discarica umana più reietta. Si assiste così all’inversione del concetto di progresso. L’idea traino dell’epoca solida, che ancora campeggia nel motto “ordine e progresso” della bandiera brasiliana, ha mutato significante. Oggi progresso si traduce, per milioni di individui, in precarizzazione della vita, in terrore continuo e inarrestabile mutamento, che scalza e piega esistenze.E questo senso diffuso d’insicurezza è percepibile in tendenze e mode non altrimenti spiegabili. Come il fenomeno dei SUV, i moderni veicoli urbani, chiaro sintomo d’insicurezza per la vita cittadina, moda assimilabile al proliferare dei rifugi antiatomici in epoca di guerra fredda. E ancora il dilagare delle recinzioni interne alle città (condomini chiusi, edifici ipercontrollati), con l’inversione moderna del binomio sicurezza/insicurezza che un tempo assicuravano le mura cittadine. Ne scaturisce la sindrome del nemico in casa, del terrore dormiente, pronto a svegliarsi ed a spargere morte e dolore. Sindrome questa trasposta nel corpo, con il terrore del grasso corporeo denunciato dalla fitness: come la città è minacciata all’interno da nemici ben mimetizzati, così il corpo è costantemente minacciato dal nemico interno, il grasso.
La società dei consumi però è individualistica. Il consumo è un atto individuale, perché individuale è il corpo verso il quale è orientato. Il consumatore quindi è capace solo di un pensiero individualistico, allorquando nella società precedente il pensiero era sempre declinato al sociale. Per questo il valore pubblico ha perso visibilità e ragione. Ed anche l’ultimo baluardo della società dei cittadini, ovvero le libere elezioni, si è trasformato in un atto di consumo, con la rappresentanza declinata e proposta come bene di consumo pubblicitario.Di fronte a questo quadro, la formazione di una nuova cittadinanza può ancora avvalersi dell’analisi marxista? Bauman affronta questo quesito nell’ultimo capitolo del libro, un breve saggio su Adorno e la Arendt.Il pensiero di Marx, secondo l’eminente sociologo polacco, pertiene alla società solida dei produttori, così come l’insegnamento della Arendt, di Adorno e dell’intera scuola di Francoforte. La risposta è quindi negativa. L’originalità della lettura che Bauman dà del progetto marxiano, nonché delle sue realizzazioni politiche e storiche, dal sindacalismo al welfare, sta nel reinterpretare l’intera esperienza come reazione, tardiva, alla perdita dei vincoli di sicurezza che la trama delle relazioni individuali dava alla comunità. L’analisi di Marx sull’imminenza di una società di giustizia ed equità risultava errata, come di fatto lo fu, perché la temperie rivoluzionaria non tentava altro che ripristinare le sicurezze comunitarie sulle insicurezze della società degli individui: “l’agitazione fu alimentata dalla perdita di sicurezza, non fu un balzo fallito verso la libertà”.
Ciononostante, sottolinea Bauman, quella richiesta di libertà che Marx coglieva e interpretava, non è venuta meno. La domanda, che attende ancora una risposta, assume temi etologici ed antropolocigi: perché l’uomo, pur avendo le possibilità per rendere la vita sulla terra un paradiso, la tramuta in inferno?“Ai nostri giorni le prospettive di emancipazione umana appaiono molto diverse da quelle che a Marx apparivano tanto evidenti, eppure le accuse dello stesso Marx verso un mondo imperdonabilmente ostile all’umanità non hanno perso nulla della loro importanza ed urgenza, e la difficoltà nel trovare una giuria competente e dotata dei poteri per pronunciare e far affiggere una sentenza, punire i colpevoli e risarcire le vittime, non prova in modo definitivo che l’aspirazione originaria all’emancipazione era irrealistica. Non sono state addotte ragioni sufficienti per cancellare questo obiettivo dalla lista delle cose da fare”. L’eclisse del progetto marxiano non è stato un episodio isolato. Anche lo stato nazione, altro fedele costruttore di sicurezze, ha perso il proprio ruolo e vive ormai agonizzante nella modernità liquida. La sua recente “auge”, evidente nella proliferazione di stati all’indomani del crollo sovietico, è solo apparente. Anzi, è il segno del suo declino.Oggi il potere si è trasferito altrove, “in un nuovo spazio socialmente extraterritoriale”. Sono le multinazionali e quegli apparati di potere produttivo e finanziario, capaci di mobilitare bilanci ben maggiori di quelli prodotti da intere aree del pianeta, a sostituire lo stato nazione (si veda Michael Hardt / Antonio Negri, Impero, il nuovo ordine della globalizzazione, 2001, Rizzoli, Milano). Per loro è lecito evocare, ancora una volta, il concetto di ibridismo. Metastati, agglomerati di puro potere, svincolati dai doveri sociali che pur gli imperi avevano. Entità ibride che lasciano alle nazioni agonizzanti il compito di smaltire i loro rifiuti, oggetti e uomini indistintamente.
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