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Foglie della memoria. L’Italia del Novecento nella Poesia del Novecento

E’ possibile una storia che parli a tutti, che esuli dalle appartenenze politiche,sociali,culturali. E’ possibile una storia dalla quale emerga una natura comune, un solo destino. E’ possibile con la poesia. A questo punto la maggioranza storcerà il naso,convinta che la poesia sia un’ arte elitaria e complessa e non un lessico universale. Ai più riluttanti si consiglia la lettura di “Foglie della memoria. L’Italia del Novecento nella Poesia del Novecento.” di Pierini.In questo libro l’autore ha “rovistato” nel ventesimo secolo ed ha ritrovato la voce degli italiani.

Non deve essere facile far parlare un secolo complesso come il Novecento,che fin dagli inizi si è imposto come il secolo del cambiamento: due guerre mondiali, un regime,la transizione dalla monarchia alla Repubblica, la crisi di quest’ultima e l’avvento,reale o presunto,di una Seconda Repubblica. Sono tutti episodi che ci hanno segnato e che hanno influito sul nostro modo di essere italiani. Una tale molteplicità è testimoniata anche dalla varietà della scelta antologica:dai grandi poeti (Ungaretti,Pasolini,Montale solo per fare qualche nome) ai meno conosciuti,dalla poesia dialettale di Trilussa ai canti “politici” di Turati fino ai testi di Elio e Le Storie Tese.

Il Novecento che emerge dalla lettura è un secolo di paradossi:attraversato dalla lotta di classe vede il trionfo della piccola borghesia e del consumismo,partito dall’ideale dello scontro ideologico si appoggia volentieri alla cultura del compromesso. In questa serie di attese disilluse è facile rinvenire la regolarità con cui cadono i miti delle generazioni che si avvicendano nel corso degli anni. Anche in questo caso il confronto poetico si mostra un utile strumento di analisi,capace non solo di evocare contesti ma soprattutto di annullare i gap generazionali per mostrare come l’interiorità umana,seppur con parole diverse,è sempre paragonabile,è sempre posta di fronte agli stessi interrogativi. La poesia,in ultima analisi, si può quindi considerare un linguaggio sintetico,moderno,comunicativo,memorizzabile,che fa rivivere una storia alla quale normalmente non sentiamo di appartenere ma che in realtà ci parla lungo lo scorrere del nostro patrimonio comune e che,attraverso il sentimento,ci torna alla memoria e forse ci unisce. Speriamo.  Nel secondo giorno del “Varchi festival di storia (in)contemporanea”, è stato presentato il video de “La Storia siamo noi”, programma televisivo curato e condotto da Giovanni Minoli.

Montato a livello cronologico e storico in modo perfetto,in due ore viene raccontata la storia italiana, che va dal 1966 al 1977, attraverso filmati d’epoca e con i commenti dei personaggi principali che quegli avvenimenti li hanno vissuti in prima persona.Riprende tutti gli avvenimenti che sconvolsero l’Italia a partire dalla metà dei sessanta fino agli anni settanta; spiega perfettamente come i movimenti, i cortei e le manifestazioni conobbero la violenza e come questa partendo dai primi scontri fisici passò alle pistole, alle molotov e alle bombe.

La storia è visivamente perfetta
, per se in qualche occasione cede a qualche sentimentalismo di troppo; ma il susseguirsi degli avvenimenti che potevano cambiare l’Italia ed invece innescarono una serie di uccisioni e attentati, che ancora oggi restano impuniti, facendo cadere il nostro paese in mano a personaggi e trame oscure. Ed invece era la realtà di un paese democraticamente giovane che non sapeva come uscirne.L’Italia viveva una situazione politica complessa, i movimenti sociali e politici presentavano una notevole e massiccia partecipazione popolare; nascono e si muovono movimenti politici sia di sinistra che di destra, inizialmente collocati vicini ai partiti, ben presto se ne distaccano, allontanandosene sempre più, schierandosi in seguito contro.

Più gli anni passavano e più si acuiva lo scontro tra la democrazia parlamentare ed i movimenti extraparlamentari; i primi erano intenti a mantenere il controllo della società, in ogni suo settore, ed i secondi cercavano una rottura di questo legame. Le divisioni tra le due parti e l’assenza dei politici che determina contrasti e scontro tra le parti.La prima parte del video è dedicata al movimento studentesco del ’68, che ispirato a quello americano e francese, ebbe la forza di scuotere ed innovare la società civile italiana, ferma ed immobile nel suo essere bigotta e tradizionalista.In alcuni passaggi il video evidenzia tutto ciò, dove anche se da due parti contrapposte “si arriva ideologicamente e materialmente a manifestare pacificamente contro il principio d’autorità”; con queste parole la voce narrante commenta le immagini dei primi cortei studenteschi ed universitari.

Dai cortei pacifici si passò alla violenza, che accompagnò tutte le manifestazioni di piazza del nostro paese.Le manifestazioni pacifiche, erano tali non tanto per gli intenti, che potevano essere sovversivi e rivoluzionari, quanto per gli strumenti che venivano utilizzati per opporsi allo stato: sit in, occupazioni e resistenza passiva. Nel video si susseguono immagini di mani che stringono bandiere, striscioni, e che levano al cielo con i pugni chiusi o il saluto romano.Se si vedono scontri tra cortei di sinistra e quelli della destra erano puramente verbali, al massimo si giungeva alle mani o armati di pochi bastoni.

Come dice Adriano Sofri, nel filmato: “Si aveva un’idea nobile della violenza”. Il primo vero scontro violento, durò per ore ed avvenne il 1 marzo del ’68 durante l’occupazione della facoltà di architettura a Valle Giulia a Roma, tra gli studenti e la polizia. I filmati mostrano gli studenti che forzano il blocco della polizia, questi caricano gli studenti con i manganelli per allontanarli dalla facoltà, ma che rispondono alle cariche con i sanpietrini. li scontri di Valle Giulia ebbero una eco incredibile nella società culturale italiana, PierPaolo Pasolini si schierò con la polizia, che definisce “figli dei poveri” e attacca quegli studenti, figli della perbenista borghesia italiana.

I fatti di Valle Giulia, uniti alla morte di Paolo Rossi, fanno si che il movimento studentesco si sposti dal piano della protesta universitaria a quello della contrapposizione frontale con l’intero assetto sociale e con i movimenti antagonisti di destra.Lo schieramento all’estrema sinistra del movimento studentesco scatena i neofascisti. Il 16 marzo, guidati dai deputati del Msi Anderson e Caradonna, quest’ultimi assaltano la facoltà di lettere a Roma. Messi in fuga dal movimento studentesco, si barricano nella facoltà di legge tirando dalle finestre banchi e armadi, dove il leader del movimento studentesco Oreste Scalzone resta gravemente ferito.Gli occupanti e i manifestanti fascisti sono affiancati da Almirante, storico leader del Msi dell’epoca, che affianca gli occupanti.

Questo fatto legò l’Msi al movimento neofascisti.
La cacciata dall’università porterà ad un ridimensionamento dei gruppi di destra.Iniziò un vero e proprio scontro per l’occupazione delle facoltà, delle piazze. Si assiste ad una vera e propria occupazione dei quartieri delle città italiane; Maurizio Morelli, militante di destra, descrive nel video come i fascisti, non avendo più spazi nelle università o nei quartieri milanesi, occuparono ideologicamente Piazza Sanbabila, che diviene il principale punto di riferimento e luogo d’incontro dei neofascisti milanesi. La stagione del ’68 si va spegnendo, ma a tener vivo il fuoco delle manifestazioni furono gli scioperi, le occupazioni e le assemblee congiunte degli operai della Fiat e degli studenti medi che occupano le fabbriche, le scuole e riempiono le piazze con grandi cortei; la violenza che emerse in quegli anni furono una risposta alla repressione dello stato, che si andava fortificando, cercando di difendere la società dall’avvento della rivoluzione sessantottina.

Gli anni sessanta terminano in un clima
di tensione senza precedenti, il 12 dicembre a Milano esplode una bomba nella Banca Nazionale dell’agricoltura uccidendo 12 persone. Fu l’inizio della strategia della tensione, una sanguinosa catena di stragi che si ripeteranno per tutti gli anni settanta fino a culminare con la strage di Bologna nell’agosto dell’ottanta.Piazza Fontana fu lo spartiacque della radicalizzazione delle ideologie e della brutalità. La violenza degli scontri nelle piazze, delle aggressioni vili, negli anni settanta non furono che l’anticipo del terrorismo e degli anni di piombo. Tutto ciò divenne un pretesto per poi organizzarsi nello sferrare duri colpi al cuore dello stato.

La violenza nacque dall’illusione
e dalla delusione sessantottina, che non riuscì totalmente nei suoi intenti lodevoli di cambiare l’Italia. Altro episodio, che questa volta divise la destra, fu l’assassinio del poliziotto Antonio Marino, il 12 aprile 1973. Durante una manifestazione dell’Msi, due militanti fascisti, Vittorio Loi e Maurizio Murelli, lanciano bombe a mano contro la polizia e uccidono l’agente Marino. Nelle immagini,  ci sono i filmati di quegli attentati, ed è proprio la voce di Murelli che narra quella triste vicenda. Nel video le date e gli avvenimenti sono rimarcati dalla voce narrante, seguendo una precisa cronologia, le immagini sono accompagnate da una moderna colonna sonora; ciò ha un preciso intento, far si che la storia di quegli anni vada ad unirsi a canzoni moderne, in modo che le immagini possano sembrare nuove e che possano seguire un’ideale filo della memoria, in modo che quegli avvenimenti non siano dimenticati e restino vivi nella memoria collettiva.

La violenza delle stragi e delle aggressioni
a freddo fanno divampare ancora di più il fuoco che anima le manifestazioni e gli scontri di piazza che degenerano sempre più in guerriglia urbana. Il livello dello scontro si alza sempre più e nei gruppi estremisti si inizia a passare alla clandestinità. Dopo la morte di Antonio Marino, si instaurò nella società un clima di insicurezza e di pericolo, dovuto ad una catena di continui attentati mortali verso avversari politici.Nelle manifestazioni di piazza molti manifestanti vanno con il volto coperto, e se prima armati delle sole mani o bastoni, ora sono spesso armati di spranghe, chiavi inglesi, a volte di molotov, bombe incendiarie, e pistole, le famose P38. Intanto si fece viva la teoria degli “opposti estremismi” dove i partiti democratici devono essere in grado di governare e senza toccare o raggiungere accordi che potrebbero essere potenzialmente pericolosi per il mantenimento della democrazia.

In quegli anni il Msi rischiò di essere messo fuorilegge, dove un aspro dibattito sociale e politico lo costrinse alla difensiva.Ciò portò ad un inasprimento dello scontro nelle piazze, quanto più nelle manifestazioni di piazza dei movimenti della sinistra e dei gruppi extraparlamentari si andava con il volto coperto, i caschi, le spranghe, tanto più a destra si faceva ricorso alle pistole; per colmare quel gap numerico che li divideva dai cortei della sinistra.Nell’intervista Marcello De Angelis ,redattore della rivista Area e militante di destra, sottolinea come i militanti fascisti affascinati da sempre dalla cultura della forza fisica e dalla violenza, concepirono una “estetica guerriera”, dove i fascisti fecero ricorso soprattutto alle armi, anche per colamre quel gap numerico che li divideva dai cortei della sinistra.

Quanto più si armavano tanto più il movimento antagonista di sinistra diventava più numeroso nelle piazze e quanto più a destra il numero si riduceva tanto più diventavano armati. Una sorta di pericoloso circolo vizioso.In quegli anni di sangue, ci fu una vera e propria guerra civile, molto simile alla lotta partigiana e della Repubblica di salò. Nascono così gruppi extraparlamentari come Lotta continua o Potere Operaio, a destra Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, che distaccandosi dalle direttive dei partiti d’origine, creano movimenti indipendenti politicamente. Erri de Luca, che in quegli anni faceva parte di Lotta Continua, descrive bene come si svolgevano le manifestazioni, ovvero che la violenza, lo scontro fisico, l’avrebbe fatta da padrona, dicendo che “Si andava in piazza, consapevoli anche di morire”.

Oltre alle piazze, divenne fondamentale mantenere a tutti i costi quanto era stato conquistato e organizzato. Difendere gli spazi ottenuti con fatica, ciò divenne primario soprattutto nei movimenti antagonisti di sinistra. Si fece strada la consapevolezza che la rivolta studentesca ed operaia avrebbe portato inevitabilmente ad uno scontro contro gli apparati repressivi dello stato e contro le aggressioni fasciste. Come si vede nei filmati d’epoca in città come Milano si arriva a scontri quotidiani con la polizia o tra i gruppi extraparlamentari.

Si iniziò da entrambe le opposte fazioni politiche a praticare un uso difensivo della violenza. Nascono i servizi d’ordine, strutture organizzate sia per la difesa delle manifestazioni di piazza, che nel controllo dei territori delle città. A Milano nascono i Katanga, servizio d’ordine dei movimenti studenteschi di sinistra nelle manifestazioni, nel video Raul Montanari, deputato di Rifondazione Comunista, confessa di aver fatto parte di questo gruppo, che sosteneva gli scontri in piazza, difendendo il corteo. I Katanga erano diventati perni centrali nelle pianificazioni delle manifestazioni: a loro toccava organizzare la difesa del corteo e i relativi scontri con le forze dell’ordine. Il video descrive come in quegli anni, parallelamente ai Katanga, si fa largo a Milano un gruppo di giovani, la Banda Bellini, che aveva come obiettivo il corpo a corpo con la polizia, seguendo una loro etica.

Nel video si sente la voce narrante che legge un passo del libro di Marco Philopat “La Banda Bellini”, mentre scorrono le immagini di scontri tra polizia e studenti. Sembra di esserci fisicamente in quegli scontri, si può immaginare di sentire le sirene impazzite della polizia e sentire l’acre odore dei lacrimogeni. Si capisce tutta la tensione che si viveva in quel periodo e di come alcuni manifestanti avevano perso il controllo della situazione, armandosi anche di picconi e accette, e di come un componente della banda disarma con un ceffone un ragazzino armato di un’accetta più grande di lui nascosta sotto l’eskimo con l’intenzione di colpire mortalmente lo “sbirro”.

Gli eventi luttuosi in quegli
anni si susseguivano in modo da lasciare una linea di sangue continua ed ininterrotta, all’aggressione fascista faceva seguito per tutta risposta quella dei gruppi comunisti. I morti del rogo di Primavalle, di Walter Rossi e di tanti altri fanno si che alla fine i morti furono 69, tra caduti di destra e quelli di sinistra. Ancora oggi molti assassini, aggressioni e stragi restano impunite. Prima che il terrorismo delle Brigate Rosse, dei Nar, e degli anni di piombo arrivino a dire la loro nella vita politica e sociale italiana, si assiste alla nascita del movimento degli autonomi nel ’77, un movimento innovativo che al suo interno conteneva già una radicalizzazione della violenza. Si assiste così al definitivo distacco tra i partiti ed i movimenti. Lo strappo a sinistra avvenne nell’università di Roma il 17 febbraio del 1977, durante un comizio del segretario della Cgil, Luciano Lama, presso l’università di Roma occupata. Il video mostra come il servizio d’ordine del sindacato e del Pci si scontra violentemente con gli studenti in lotta. Lama fu costretto ad interrompere il comizio e poche ore dopo l’università fu sgomberata dalla polizia. A sinistra quell’avvenimento fu considerato grave. Mai così violentemente ed apertamente si era criticato il sindacato, la cacciata di Lama dall’università fu la svolta per il movimento del ’77.

Il Pci condannò tutto il movimento del ’77,
provocando una profonda crisi tra gli autonomi e le istituzioni. Mai si era arrivati a sfidare apertamente le istituzioni ed il Pci; molti componenti degli autonomi passarono alle armi e poi alla clandestinità, andando ad ingrossare le fila del terrorismo. Gli autonomi ricorrevano sistematicamente alla violenza nelle piazze, fu per molti un modo di stare in piazza e di manifestare; si era passati dalla difesa dei cortei, dalle aggressioni e dalle cariche ad attaccare ora le forze dell’ordine, la violenza si era incancrenita da entrambi le parti.

Impressionarono all’epoca, mostrato anche nel video, gli scontri avvenuti a Milano nel maggio del 1977, divennero il simbolo del movimento. Il filmato collega in maniera tragica i cortei, le P38 e la morte, dove si nota un dimostrante che braccia tese impugna con entrambe le mani una P38 puntata pronta a sparare verso la polizia. Il movimento durò poco, ma, nonostante il suo aspetto violento, nacque con altri intenti: fu il movimento più creativo che nacque in Italia, dando vita ad affascinanti manifestazioni culturali, da cui tutti negli anni a venire hanno tratto ispirazione. Ben presto il movimento degli autonomi si spaccò tra chi voleva un dialogo con le istituzioni ed invece quelli che affermavano il carattere proletario del movimento e “l’antifascismo militante”;  parola nel filmato criticata aspramente dallo storico Giampaolo Pansa che dice “ le parole non sono pietre ma diventano poi fatti”, sottolineando che si costituiva un’unione pericolosa e violenta.

Alla fine del video lo scrittore Erri de Luca, che in quegli anni faceva parte di Lotta Continua, ammette che si sente corresponsabile di tutto ciò che è successo. Tutti in quegli anni chi a destra, chi a sinistra e chi faceva parte delle istituzioni doveva e poteva evitare che il seme della violenza sbocciasse negli anni più drammatici della repubblica italiana, ovvero gli anni di piombo del terrorismo rosso e nero, che avrebbe inondato di sangue la nostra storia. Storia che non bisogna dimenticare.

 

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