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L’inquilino del terzo piano (Locataire)

Nel 1976, Roman Polanski si trasferisce in Francia e vi dirige Le Locataire/ The Tenant/ L’inquilino del Terzo Piano, che completa la trilogia della paranoia con Repulsion e Rosemary, riprendendo anche le tecniche di confusione del sogno con la realtà di quest’ultimo. Polanski dà in questo film una grande interpretazione personale nella parte del protagonista. Ancora una volta il regista fonde nel soggetto horror, psicanalisi, thriller, teatro polacco.Le cadenze orrifiche sono desunte da deformazioni mentali degli oggetti e delle persone (mummie fameliche, maschere sataniche).

La suspence scaturisce come sempre dall’ambiguità, dal non sapere se ciò che accade è realtà o parto di una fantasia malata; è certo che il protagonista sta impazzendo, ma non è chiaro quale è la causa (la follia o la persecuzione dei vicini?) e quale l’oggetto (la persecuzione dei vicini o la follia?).

Il film rappresenta anche il culmine del feticismo di Polanski: l’appartamento si deforma in un crescendo disgustoso di sporcizia e di depravazione, il corrompersi del luogo segue di pari passo il corrompersi della psiche (anche qui non si sa quale sia la causa e quale sia l’effetto). Infine il doppel ganger mai così esplicito, sunto…??? delle pulsioni sado-maso androgine e incestuose emerse dal film precedente, e al tempo stesso sfogo autobiografico (il personaggio interpretato da Polanski è un polacco francese), con tanto di pulsioni aggiuntive di morte. La dissociazione è accompagnata da una progressiva regressione, che verso la fine ne fa un bambino dispettoso e testardo.Come mai negli altri due film satanici, il grottesco delle origini si è tramutato in un tragico diagramma dell’angosciosa solitudine metropolitana, in denuncia agghiacciante della alienazione urbana che deflagra dalla rispettabilità e dal decoro borghesi, in ….. dell’integrazione come perdita omeopatica” di identità, del ritualismo individuale del silenzio.La dominante demoniaca del cinema di Polanski ha una sintomatologia psichica: schizofrenia, paranoia, claustrofobia, feticismo, onirismo.Polanski ha appena affittato l’appartamento di una ragazza che si è gettata dalla finestra, che lui va a visitare in ospedale poco prima che muoia, e al cui funerale il sacerdote tiene un macabro sermone. Gli amici che lo aiutano a traslocare si fermano fino a tardi a fare festa, fra le proteste dei condomini: l’austero padrone di casa, pettegole acide, etc. E’ ossessionato dalla loro mania per il silenzio, tra l’altro tutti curiosamente a stare a lungo in piedi nella toilette comune. L’appartamento conserva ancora i segni della vita della ragazza, dal lucernario squarciato, al dente nascosto con l’ovatta nel buco della parete, l’amica conosciuta in ospedale con cui si ubriaca, il bar dove gli servono le stesse cose che prendeva lei. L’ossessione lo incalza. Scopre che la toilette è tappezzata di geroglifici, vede una donna che si sbenda dalla finestra di fronte; compra parrucca e scarpe da donna, indossa gli abiti della morta; scopre di aver perso un dente, che adesso è nascosto nel buco della parete. Si convince che i vicini vogliano farlo diventare una copia della morta e spingerlo al suicidio come spinsero lei, ognuno intento ad oscuri rituali: una è legata e viene picchiata, un altro è vestito da giullare; una mano cerca di afferrarlo dalla finestra. L’amica lo ospita a casa sua e lo cura, ma la mattina lo lascia solo e nel delirio lui si convince che anche lei faccia parte del complotto; fugge per le strade e viene investito da un’auto, gli sembra che i curiosi siano i condomini, cerca di strangolare la vecchia che lo soccorre, prima che lo immobilizzino e lo riportino a casa, ormai completamente debilitato e in preda al delirio. Accolto freddamente dalla portinaia e dal padrone di casa, appena in camera si travesta da donna, sale sul davanzale e si butta dal lucernario appena finito di riparare. I vicini si precipitano a soccorrerlo, ma lui, che rantola sanguinante per terra, pare che sogghignino; si trascina su per le scale fino all’appartamento, farfugliando, sale di nuovo sul davanzale e si ributta giù. L’ultima inquadratura è l’urlo della suicida in ospedale, quell’urlo che probabilmente è rimasto nella mente del giovane fino a farlo impazzire.L’atto suicida di questo inquilino represso dai continui richiami alla rispettabilità e al silenzio (anche lui come Rosemary fondamentalmente un bambino spaventato) è l’estremo appagamento esibizionistico di chi vuole urlare almeno una volta “io sono questo”, liberarsi dalle catene della spersonalizzazione per esplodere la propria emotività, infrangere il rito magico e macabro di cui tutti sono succubi, zombie metropolitani: l’esibizione circense del doppio salto mortale eseguita con calcolata ferocia e premeditazione restituisce dignità a un corpo martoriato dal sacrificio dell’alienazione.Polanski si conferma regista degli ambienti chiusi, dell’incubo, dell’attesa della catastrofe.

Redazione

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