Il lavoro ai percettori l’hanno rubato i bambini, è chiaro e ora vi spieghiamo perché. Partendo da un dato semplice semplice: è dal 2019 che parliamo di reddito di cittadinanza, sostenendo che non ci sia lavoro per quelle centinaia di migliaia di percettori, perché sarebbero non qualificati e senza titoli di studio.
E invece, sapete la novità? Che il lavoro, per tutti quei percettori, dal primo all’ultimo, ci sarebbe pure. Anzi già c’è, è in mezzo a noi. Solo che è in nero e nessuno sembra essere seriamente intenzionato a farlo diventare “in bianco”.
Grave? Più che grave, tragico, perché per oggi – si scopre ora – quel lavoro lì lo fanno bambini e minori sotto i 15 anni. Alla faccia della legalità.
IL RAPPORTO. A dirlo non è qualcuno senza titolo ma, insomma, niente meno che Save the Children. Che in un rapporto pubblicato qui, racconta che ci sono circa 336mila minori in Italia impiegati in vario modo. Minori, sotto i quindici anni, avete capito bene. In Italia. Ecco, per loro il lavoro c’è eccome, soprattutto nel settore della ristorazione e del commercio.
Insomma, l’ennesima dimostrazione che il mercato avrebbe bisogno eccome di forza lavoro, fosse anche non qualificata e senza titoli di studio (come quei ragazzi). Ma piuttosto che assumere regolarmente chi ne avrebbe bisogno, disoccupati e percettori di reddito, il “Sistema Italia” preferisce gettarsi sui più deboli dei deboli. Sui bambini, fornendo l’illusione di quattro soldi sotto banco che li facciano sentire grandi.
Un fatto gravissimo, e non solo dal punto di vista della legge: perché quell’illusione di guadagno infatti è uno dei motivi principali a spingere tanti minori ad abbandonare gli studi, affascinati dai “soldi facili”.
Secondo Save the Children infatti il lavoro minorile è strettamente connesso all’abbandono degli studi. Pensate che tra i 14-15enni intervistati che lavorano o hanno lavorato l’anno precedente, quasi 1 su 3 (29,9%) lo ha fatto durante i giorni di scuola e tra questi il 4,9% ha saltato le lezioni per lavorare.
Conseguenza? I ragazzi che lavorano vengono bocciati quasi il doppio degli altri e abbandonano totalmente la scuola più del doppio di chi non lavora. Qualcosa vorrà pur dire, no?
MARE FUORI – E poi ci sono le carceri minorili, “quelli che sbagliano”. Che c’entra questo con il lavoro?
C’entra, perché anche in questo caso, una buona fetta di quanti sono dietro le sbarre, è formata da quelli che avevano lasciato gli studi e che avevano avuto delle esperienze lavorative saltuarie e fatte di sfruttamento e di illegalità. Tutte situazioni che – per gli psicologi che li seguono – hanno ingenerato in questi ragazzi sfiducia verso la società e aumentato la loro propensione al crimine.
Questo vuol dire che tutti quelli che hanno aiutato lo zio al bar sono destinati al peggio?
Assolutamente no, ma di sicuro non si scherza con il fuoco e il lavoro non può e non deve spingere ad abbandonare il percorso di studi.
Anche perché è un cane che si morde la coda: la maggior parte dei ragazzini/ragazzi che lavora in nero (e lascia gli studi) viene da famiglie che hanno fatto lo stesso percorso. Famiglie che hanno bassi (o assenti) titoli di studi e che quindi sono state relegate a lavori qualificati e poco retribuiti. Nuclei che andrebbero aiutati offrendo un’assistenza ai loro figli, per permettergli di concludere un percorso scolastico che possa aiutarli a prendere “l’ascensore sociale”.
LA SPERANZA. Insomma, l’allarme di Save the Children appare chiaro: liberiamo il futuro di questi minori, non facciamoli cadere nella spirale del lavoro nero e dell’abbandono dei cicli scolastici.
Piuttosto – aggiungiamo noi – prendiamo atto per l’ennesima volta che contrariamente a quanto si dice, c’è un chiaro bisogno (anche) di personale non qualificato e senza un livello di istruzione alto. La verità è che il lavoro c’è ma è in nero.
Restituiamo ai bambini e ai nostri ragazzi la loro spensieratezza, facciamo emergere il lavoro nero. E – riprendendo stavolta seriamente quella che era una provocazione – diamo un lavoro dignitoso a chi percepisce il reddito di cittadinanza: 336mila posti potrebbero essere a disposizione.
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