South Boston. Quartiere periferico di una grande metropoli. Ce ne sono tanti negli Stati Uniti, tutti uguali: stesso degrado, stessa criminalità, stessi bar frequentati dalle solite, losche facce impegnate nei soliti, loschi affari. Tra le sue strade cammina una figura fiera, elegante nel portamento, cordiale ed amichevole con tutti. All’apparenza, un comune uomo di mezza età. Ma i suoi occhi sono quelli neri e penetranti di Jack Nicholson e il suo gioviale sorriso, un ghigno piuttosto, non è altro che una maschera dietro la quale nascondere una furia spietata, da scatenare contro chiunque intralci i suoi progetti. Il suo nome è Frank Costello e diventare suo amico, in quel quartiere di poche speranze, equivale ad avere un debito con lui.
Colin Sullivan è un ragazzo di South Boston. Si è distinto all’Accademia di Polizia del Massachussets e ha fatto carriera velocemente all’interno della Squadra Speciale Investigativa. È brillante, razionale, freddo. Insomma, un vero irlandese. E rispetta l’autorità. Ma non quella del distintivo che indossa, no. Quella di Frank. Perché Colin è un infiltrato, una spia di “papà” Frank, il quale gli ha dato un’istruzione, lo ha protetto, ottenendo in cambio la sua anima e la sua fedeltà.
Anche Billy Costigan viene da quel quartiere. Gli appartiene, forse più di Colin. Ne conosce gli aspetti più sordidi a causa delle attività criminali della sua famiglia. E vuole sfuggire a quel retaggio, a quel mondo. Come Sullivan, quindi, decide di entrare all’Accademia di Polizia. Ma il destino, cui non manca il senso dell’ironia, lo porta ad essere scelto per una missione da infiltrato nella banda di Costello. Billy dovrà diventare proprio ciò che ha sempre rifiutato e disprezzato.
Colin e Billy. Due uomini diversi che condividono il medesimo fato: quello di vivere una vita spezzata in due parti distinte, opposte. Il Bene da una parte, il Male dall’altra. Bianco e nero. E in mezzo: loro, sotto il cielo grigio di Boston velato dalle nuvole, impegnati ogni santo giorno in uno schizofrenico viaggio d’andata e ritorno tra queste due sponde. Un viaggio segnato da menzogne pronunciate senza rimorsi apparenti, da lealtà giurate e spergiurate e in cui il traditore è proprio colui di cui più ti fidi.
Affascinante, sorprendente, coinvolgente. Un capolavoro può esser definito da tanti aggettivi. Per THE DEPARTED è necessario usarli tutti. William Monahan, ispirato dal thriller INFERNAL AFFAIRS ambientato a Hong Kong e campione d’incassi in Asia nel 2002, ha messo a disposizione di Martin Scorsese una sceneggiatura perfetta, nel ritmo come nei dialoghi. Incentrata sul rapporto “fiducia / tradimento” e infarcita dallo humour e dal fatalismo tipicamente irlandesi che Monahan, americano d’origine irlandese, ben conosce, essa è il “treppiedi” ideale per la regia “potente” del regista newyorchese, elegante ma al tempo stesso dura come la vicenda che rappresenta e i suoi protagonisti. A questo proposito, un capolavoro è tale se può contare su interpreti all’altezza. Nel caso di THE DEPARTED, l’esatta coincidenza personaggio-interprete rende imbarazzante ogni tentativo di commento. Nicholson pennella in modo straordinario, come se ci fosse bisogno di dirlo, l’ennesimo cattivo affascinante della sua carriera (come dimenticare Jack Torrance o il Joker). Da Oscar, senza se e senza ma. Per Di Caprio vale lo stesso discorso. La bidimensionalità tutta “fascino e sorrisi” dei ruoli degli esordi, lascia il posto alla maturità di un attore capace di mostrare, senza mai mai MAI cadere in banalità o facili patetismi, i tormenti di un’anima messa sotto scacco dalla lotta interiore che la dilania: quella tra il senso del dovere e la lealtà da un lato, e gli orrori che si è costretti a vivere in nome di essi dall’altro. L’unico a non brillare particolarmente, forse, è Matt Damon. Tuttavia, la sua faccia acqua e sapone da classico bravo ragazzo, caratterizzata, però, da due occhi di un azzurro pallido e gelido, si adatta magnificamente al personaggio di Colin, uomo dall’anima nera celata dietro ad un distintivo, ad abiti firmati e ad un lussuoso appartamento. E ancora: Martin Sheen e Mark Wahlberg, affiatati ed in straordinaria sintonia nel ruolo dei due superiori di Costigan-Di Caprio; o Alec Baldwin che, dopo anni di (dis) onorata carriera, dimostra di saper recitare, interpretando il capitano Ellerby, diretto superiore di Sullivan-Damon.
Un capolavoro, dunque. L’ennesimo, per Scorsese. Ed ennesima occasione per i signori e padroni di Hollywood di riconoscere il suo genio. Perché se è vero, come afferma il personaggio di Matt Damon in una scena del film, che un irlandese “può sopportare una cosa sbagliata per il resto della sua vita”, è vero anche che il mondo del cinema non può tollerare un altro insulto, dopo nomi come Chaplin e Kubrick, ad uno dei suoi maestri indiscussi.
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