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Sherlock Holmes di Giancarlo Berardi e Giorgio Trevisan

Sherlock Holmes è ormai un’icona popolare, di cui è stato detto e ridetto tutto il dicibile. Mi limiterò a ricordarne l’autore, Sir Arthur Conan Doyle, e l’anno di nascita, il 1887, in cui fu pubblicato il primo racconto lungo (o romanzo breve) Uno Studio in Rosso. Gli adattamenti dell’infallibile detective di Baker Street non si contano: i più numerosi sono certo i film, ma vi sono anche adattamenti o semplicemente omaggi fumettistici e televisivi (qualcuno ricorderà il geniale ologramma-Moriarty di Star Trek – The Next Generation), e persino giochi da tavolo, elettronici e di ruolo.

Verso la fine degli anni Ottanta, a quasi cent’anni esatti dalla sua nascita, Sherlock Holmes viene riportato in vita per l’ennesima volta, ma con tutto il rispetto e il riguardo che si deve a un gentiluomo d’oltremanica. Su L’Eternauta, nel 1986, vengono pubblicati gli adattamenti di sei avventure di Holmes, sceneggiate da Giancarlo Berardi e disegnate da Giorgio Trevisan.

Berardi, già fumettista di una certa fama e “padre” di Ken Parker, mette in scena uno Sherlock Holmes quasi religiosamente fedele al “canone” dei racconti di Arthur Conan Doyle. Dialoghi e scene, se non riportati parola per parola, sono emendati e potati del minimo necessario per lasciar scorrere la lettura, o per riassumere lunghe digressioni nonn raffigurabili o sceneggiabili; anche le poche libertà che osa prendersi non vanno a cozzare contro lo spirito, o la lettera, dei racconti orignali – persino quando da dietro il Petrarca tascabile del buon Watson scivola allo scoperto una copia di Fanny Hill

Tale zelo nel voler rappresentare Sherlock Holmes così come fu scritto non deve però far pensare ad un adattamento pedante, verboso, logorroico; nonostante la necessità, talvolta, di lunghe spiegazioni e monologhi interminabili, il ritmo viene mantenuto dallo scorrere dei panorami, o dalle carrellate di dettagli, o dai flashback. Non mancano, sono anzi piuttosto comuni, tavole in parte o del tutto silenziose, interrotte solo dall’onomatopea di una carrozza in partenza o di un campanello che viene suonato.

In tutto questo, l’apporto di Trevisan risulta fondamentale. Dal lato tecnico le ombraggiature, ottenute con le tecniche più diverse, e il gioco di chiaroscuri fanno scivolare il lettore nell’atmosfera dei film della metà del secolo scorso, nitrato d’argento e sonoro monoaurale. Dal lato artistico, le ricostruzioni di Londra operta da Trevisan sono quanto di più meticoloso ed evocativo abbia visto, salvo il lavoro titanico di Eddie Campbell in From Hell; i suoi personaggi, inoltre, sono espressivi ed eloquenti nel solo apparire, tanto che a volte il dialogo appare quasi un sovrappiù. Da segnalare la caratterizzazione del protagonista, che resta originale pur dovendo ispirazione a Basil Rathbone, Peter Cushing e John Barrymore.

Pubblicati su sei numeri de L’Eternauta del 1986, ormai difficilmente rintracciabili e comunque a prezzi da salasso, sono stati ristampati nel 1989 da Bonelli nella collana Gli Albi di Orient Express (nn. 27, 30 e 44), e recentissimamente in due volumi (“I Casi di Sherlock Holmes” e “Sherlock Holmes – Elementare, Watson!“) editi da Le Mani.

Di questi due volumi val la pena di parlare. Stampati in bicromia su un’ottima carta satinata pesante, rilegati nonostante la copertina non rigida, accompagnati da interessanti articoli e cronologie sulle riduzioni cinematografiche delle opere di Conan Doyle (scritti da Renato Venturelli) e d biografie complete ed esaurienti degli autori, nonché da una breve galleria di scorci di Londra firmati Trevisan, sono senz’altro pubblicazioni da esporre fieramente nella propria libreria, tanto per il contenuto quanto per la veste tipografica. Che poi vadano a costare la non trascurabile cifra di diciotto Euro ciascuno… certo, rovina un po’ la festa.

recensione di Matteo “Abe Zapruder” Scarabelli, tratto da blam.it

 

Redazione

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