La storia del sesterzio riassume quella di Roma: da piccola potenza locale a impero immenso, che prospera sulla propria fama. Il sesterzio è certamente la moneta romana più famosa, ma, contrariamente a ciò che si pensa, non la più diffusa, almeno fino al periodo repubblicano. All’inizio, infatti, si trattava di una piccola moneta d’argento, che pesava poco più di un grammo e veniva coniata di rado, mentre in epoca imperiale crebbe di dimensioni (circa 3 cm di diametro per 4 mm di spessore) e prese ad essere forgiata con il metallo che i Romani chiamavano “oricalco”, cioè una lega di rame e zinco (in pratica l’ottone). Il sesterzio cominciò a circolare assieme al denario e corrispondeva a un quarto di denario oppure a due assi e mezzo (dieci assi formavano un denario).
Il nome sesterzio è la contrazione di semistertius (metà del terzo) perché il suo valore si fermava alla metà del terzo asse. Quando il sesterzio entrò in circolazione, denario e asse erano le monete più diffuse. Il primo, in argento, pesava 4,5 gr. mentre il secondo, in bronzo, aveva iniziato ad essere coniato nel IV secolo a.C., e all’inizio era una moneta di grandi dimensioni che pesava una libbra (circa 327 gr.), con il tempo divenne più piccolo e forgiato in rame, divenendo così la moneta di minor valore in circolazione.
Il sesterzio, invece, all’epoca degli Imperatori assunse un’importanza sempre maggiore e quando il denario venne portato al valore di 16 assi, anche il sesterzio, che ne rappresentava un quarto, crebbe in pregio, cominciando a valere 4 assi. Attorno al 23 a.C., quando Augusto mise in atto la riforma monetaria, il sesterzio subì una trasformazione totale. Diventato di grandi dimensioni, il sesterzio cominciò a prestarsi alla rappresentazione artistica ed encomiastica dei principi. Molte monete d’epoca imperiale hanno una finezza d’incisione tale da essere eguagliata solo in epoca moderna. La qualità del conio, le grandi dimensioni e l’ampia diffusione lo resero anche uno straordinario mezzo di propaganda e informazione sulle imprese imperiali. La zecca da cui uscì il maggior numero di sesterzi fu quella di Roma. Tuttavia, in ragione della richiesta, all’epoca di Nerone e Vespasiano (fra il 54 e il 79 d.C.) fu resa operativa anche la zecca di Lugdunum (Lione) in Gallia.
Nel II secolo, il sesterzio era ormai la moneta circolante di minor valore, e la sua qualità cominciò a peggiorare. Se prima era forgiato con un bell’oricalco dorato, il suo colore cominciò lentamente a scurirsi. Questo era dovuto al fatto che gli imperatori facevano fondere i sesterzi dei loro predecessori per coniare nuove monete. Nel processo, però, lo zinco contenuto nella lega tendeva a diminuire, a causa della vaporizzazione provocata dalle alte temperature di lavorazione. Per integrare la perdita di peso venivano quindi aggiunti rame o piombo, con il risultato di rendere i sesterzi più scuri. Con la nuova riforma monetaria del IV secolo, il sesterzio cessò di esistere.
Un’idea del valore del sesterzio romano (per quanto approssimativa) si può avere consultando i prezzi praticati nelle taverne di Pompei, dove i listini sono rimasti incisi sulle pareti. Un kg di pane costava 2 assi, lo stesso prezzo aveva un litro di vino. Per un piatto di legumi ci voleva 1 asse, mentre la tariffa della prostituta in un lupanare era di 1 sesterzio. Sappiamo poi da altre fonti che una tunica costava 12 sesterzi e uno schiavo 625 denari, corrispondenti a 2.500 sesterzi.
Un centurione guadagnava più o meno 700 sesterzi al mese e un’insegnante la metà, ma ricevevano anche pagamenti in natura. A Roma però, non mancavano i ricchi sfondati come Crasso, che aveva un patrimonio di 192 milioni di sesterzi, o l’avvocato Cicerone che possedeva beni per 20 milioni di sesterzi.
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