Ci sono film che si sedimentano nell’anima come cicatrici indelebili, e 28 giorni dopo è uno di quelli. Ricordo ancora la prima volta che l’ho visto: ero rannicchiata sul divano, luci spente, con quella sensazione di inquietudine che ti scava dentro e non ti lascia più. L’idea che un virus potesse trasformare in pochi secondi persone comuni in furie assassine, il tutto immerso in una Londra deserta e spettrale, era qualcosa di disturbante e affascinante al tempo stesso. Ora, con 28 anni dopo, Danny Boyle e Alex Garland tornano a stringerci la gola con un nuovo capitolo che promette non solo terrore puro, ma anche una riflessione sul mondo che siamo diventati.
Diciamolo subito: Boyle alla regia e Garland alla sceneggiatura sono una garanzia assoluta. Hanno inventato un linguaggio visivo e narrativo che ha rivoluzionato il genere zombie, rendendolo più vicino alla nostra realtà, più sporco, più umano. E adesso, dopo 28 lunghi anni (nel film, ma anche per noi spettatori ansiosi), tornano con una storia che si preannuncia apocalittica nel senso più cupo del termine. La civiltà, come la conoscevamo, è morta. Quello che resta è un mondo fatto di isole protette e continenti contaminati, un equilibrio precario destinato a spezzarsi.Il trailer, e fidatevi: l’ho riguardato almeno una decina di volte, è un piccolo capolavoro di tensione. Fa quello che un trailer horror dovrebbe fare: non rivela nulla, ma suggerisce tutto. Non ti dice cosa vedrai, ma ti fa sentire che sarà qualcosa che ti farà battere il cuore più forte, e non per l’amore. Il ritmo frenetico, le inquadrature tagliate, e quegli infetti – sì, quelli che corrono come dannati, con quegli occhi rossi e la bava alla bocca – sono tornati. E sono più letali che mai.
Un mondo alla deriva e l’umanità sull’orlo del collasso
La trama ci porta a seguire un nuovo protagonista, interpretato da Aaron Taylor-Johnson (che io adoro dai tempi di Kick-Ass, tra l’altro), in una missione disperata: attraversare la Gran Bretagna per trovare un medico che possa salvare sua madre. Ma il viaggio non sarà una semplice odissea personale, bensì un’immersione totale nel nuovo ordine del mondo. Quello dove gli infetti non sono l’unico pericolo, perché anche i sopravvissuti – abituati a vivere senza regole – sono diventati mostri. Magari non nel corpo, ma nell’anima. E sapete una cosa che mi fa impazzire? L’idea che non ci siano droni, non ci sia tecnologia salvifica, né eserciti a protezione. Solo istinto, forza di volontà e una buona dose di fortuna. È un ritorno alle origini della sopravvivenza, ed è lì che l’horror si fa più autentico: quando ci costringe a chiederci cosa faremmo noi, davvero, in una situazione del genere.
Ecco una notizia che ha fatto esplodere il cuore di ogni fan della prima ora: Cillian Murphy torna nel progetto, non solo come produttore esecutivo, ma anche – forse – con un’apparizione. Il mistero sul suo ruolo è fitto, e c’è una scena nel trailer che gioca proprio su questo, mostrando un infetto che gli somiglia tantissimo. Forse una trovata metacinematografica? O solo un modo per trollare i fan più attenti? Fatto sta che la curiosità è alle stelle. Accanto a lui ci saranno Ralph Fiennes, Jodie Comer e Jack O’Connell: tre interpreti magnetici, capaci di portare sullo schermo personaggi tormentati e intensi. E con un budget da 75 milioni di dollari, il più alto dell’intera saga, possiamo aspettarci ambientazioni mozzafiato, effetti speciali all’altezza del caos che ci aspetta e una fotografia che farà sembrare la catastrofe… quasi bella da guardare.
Non un semplice sequel, ma l’inizio di una nuova trilogia
Sì, hai letto bene: 28 anni dopo è solo il primo tassello di una nuova trilogia. E le notizie trapelate sono già un inno all’hype: il secondo capitolo, 28 Years Later: The Bone Temple, sarebbe già stato girato e dovrebbe uscire a gennaio 2026. La regia? Forse Nia DaCosta, che con Candyman ha dimostrato di saper rinnovare i classici del terrore con uno sguardo moderno e profondo. Se tutto questo verrà confermato, ci aspetta un futuro in cui il virus della rabbia non sarà l’unico a contagiarci: anche la passione per questo universo narrativo sarà difficile da contenere.
Guardando questo progetto nel suo insieme, quello che mi colpisce è come Boyle e Garland abbiano sempre usato l’horror per parlare di noi. Dei nostri istinti più primitivi, delle nostre paure sociali, della fragilità dei sistemi su cui ci illudiamo di contare. In 28 giorni dopo, bastava un blackout per far crollare tutto. Oggi, dopo una pandemia reale, quella finzione cinematografica ci suona molto più familiare.Forse è proprio per questo che non vedo l’ora di tornare in quel mondo. Perché l’horror, quando è fatto bene, non è solo paura. È anche una lente deformante sulla realtà, una terapia d’urto che ci ricorda quanto siamo vulnerabili… e quanto possiamo essere forti.Il 20 giugno 2025 sarà il giorno del ritorno. Preparatevi a correre. E ricordate: non sono zombie. Sono infetti. E sono più veloci di voi.
Aggiungi commento