Il 1968 è rimasto nella memoria collettiva come un anno di grandi fermenti sociali e politici, principalmente grazie ai movimenti studenteschi che, in un impeto di ribellione, si propagarono in quasi ogni angolo del mondo. Queste proteste, che rappresentavano il cuore pulsante di una generazione cresciuta nel dopoguerra, segnarono un momento cruciale nella storia contemporanea, ma restano ancora oggi oggetto di discussione. Si trattò di una rivolta globale, condivisa da giovani con aspettative comuni, o piuttosto di un mosaico di movimenti nazionali, ciascuno con radici e motivazioni proprie?
Negli Stati Uniti, la contestazione studentesca iniziò già nei primi anni ’60, sviluppandosi principalmente nei campus universitari. Questi luoghi divennero terreno fertile per la diffusione di nuovi modi di pensare e vivere, influenzati dalle teorie psichedeliche, dalla Beat Generation e dalle prime proteste per i diritti civili. Il movimento del Black Power e la lotta contro la guerra del Vietnam fornirono ulteriori motivazioni. L’Università di Berkeley, in California, si trasformò nel fulcro di queste agitazioni, dove occupazioni e cortei sfidavano il potere costituito. Non di rado, la risposta delle autorità fu violenta, aumentando la tensione fino agli anni ’70, quando la morte di Martin Luther King contribuì ad incendiare ulteriormente il clima.
Contemporaneamente, in Giappone, un altro fronte di protesta si apriva contro l’imperialismo statunitense, con manifestazioni che si concentravano principalmente sulla guerra del Vietnam. Quella guerra divenne simbolo di una lotta comune contro la prepotenza americana, spingendo anche l’Europa a mobilitarsi. Nella Repubblica Federale Tedesca, le manifestazioni studentesche si concentrarono non solo contro l’autoritarismo e la guerra, ma anche contro la memoria della generazione nazista, ancora viva nella società tedesca. I giovani chiedevano una riforma universitaria che rompesse con il passato e portasse maggiore democrazia all’interno delle istituzioni educative.
La Francia fu forse il teatro più emblematico del 1968, con il famoso “Maggio francese”, un’esplosione di proteste studentesche che ben presto si estese a tutta la società. Le prime manifestazioni si concentrarono sulla riforma universitaria proposta da Christian Fouchet e sulla solitaria opposizione alla guerra del Vietnam. Tuttavia, quella scintilla innescò un incendio: barricate nelle strade di Parigi, scontri violenti con la polizia e infine uno sciopero generale che paralizzò il Paese, creando una solidarietà senza precedenti tra studenti, operai e intellettuali.
Anche in Italia, il 1968 vide l’emergere di movimenti studenteschi decisi a contestare una riforma universitaria che non teneva conto delle esigenze degli studenti. L’aumento del numero di iscritti alle università richiedeva una riorganizzazione del sistema educativo, ma le proposte del governo, che prevedevano limitazioni selettive, furono percepite come un attacco alla libertà di accesso all’istruzione. La protesta si concentrò inizialmente all’Università di Trento, con occupazioni e autogestione degli istituti, e presto si estese ad altre città, portando alle dimissioni di alcuni rettori in segno di protesta contro la repressione violenta delle manifestazioni. Le università restarono chiuse per giorni, trasformandosi in simboli di una rivolta più ampia contro l’autoritarismo.
In tutta Europa, dalle strade di Varsavia alle piazze di Madrid, il vento della ribellione soffiava con forza. La guerra del Vietnam, trasmessa in diretta dai mass media, divenne il punto di unione delle proteste. Il mondo si trovava davanti a una guerra vista per la prima volta da milioni di spettatori in tempo reale, mostrando gli orrori di un conflitto che minacciava di annientare un piccolo paese asiatico sotto la spinta del colosso americano.
Dal punto di vista intellettuale, i movimenti del ’68 trovarono una guida ideologica in figura come il filosofo tedesco Herbert Marcuse, che con le sue opere influenzò profondamente il pensiero dei giovani ribelli. Marcuse criticava il capitalismo avanzato, colpevole, a suo dire, di creare nuovi bisogni fittizi attraverso i mass media, manipolando le masse. Le sue teorie si intrecciavano con il marxismo, l’hegelismo e la psicoanalisi, trovando terreno fertile nelle menti di una generazione in cerca di significato.
Non meno influente fu l’internazionale situazionista, un movimento che disprezzava apertamente gli studenti ribelli, accusandoli di essere privilegiati e lontani dalle vere necessità della classe operaia. Eppure, malgrado questi contrasti, il 1968 vide una crescita esponenziale delle correnti anarchiche, trotzkiste e maoiste, che ebbero un impatto significativo sul panorama politico europeo, soprattutto in Italia, dove movimenti come “Lotta Continua” e “Potere Operaio” emersero sulla scia di queste nuove tendenze radicali.
A livello culturale, il ’68 rappresentò anche un’esplosione della controcultura, un insieme di alternative al sistema dominante che abbracciava nuove forme di espressione artistica, filosofica e politica. Negli Stati Uniti, il movimento controculturale trovò ispirazione nella “Beat Generation”, con autori come Jack Kerouac, la cui opera “On the Road” divenne una sorta di manifesto di una vita vissuta ai margini, alla ricerca di libertà e autenticità. La musica, con artisti del calibro di Bob Dylan e Joan Baez, divenne il megafono di questa nuova rivoluzione culturale, culminata nel leggendario raduno di Woodstock, che celebrò la libertà sessuale, il pacifismo e il ritorno alla natura.
Il mondo sembrava in movimento, come se ogni paese stesso cercasse di scuotere le fondamenta del proprio sistema. In Oriente, la Rivoluzione Culturale cinese attraversava una fase convulsa, mentre la Primavera di Praga in Cecoslovacchia dimostrava che neanche il Blocco Sovietico era immune alle richieste di maggiore libertà. In America Latina, la morte di Ernesto Che Guevara nel 1967 in Bolivia confermava il clima di rivolta contro le ingiustizie, sostenuto anche da una Chiesa sempre più vicina agli oppressi, come dimostrato dalla Conferenza dei Vescovi di Medellin.
In Francia, la convergenza tra il movimento studentesco e quello operaio trovò il suo culmine nel Maggio del ’68, quando uno sciopero generale vide un milione di persone scendere in piazza. Anche se questa alleanza non si tradusse in una vera fusione tra le due realtà, il movimento studentesco agì da detonatore per un’insurrezione che scuoterà le fondamenta dell’ordine sociale ed economico dell’epoca.
Il 1968 fu un anno di rivolta globale, in cui le richieste di cambiamento si intrecciarono con le aspirazioni di libertà, uguaglianza e giustizia. Mentre alcuni movimenti si spegnevano sotto la repressione, altri continuarono a crescere, lasciando un segno indelebile nella storia del XX secolo.
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